DAL CANTO GREGORIANO ALLA POLIFONIA DEL TRECENTO
a cura di Rodolfo Venditti
PREMESSA
II titolo esprime efficacemente l'ampiezza degli argomenti trattati
perché, esaminando il canto gregoriano, si è costretti ad allargare l'orizzonte
all'intera evoluzione della musica medioevale. Lo scopo di questo scritto è
quello di mettere in evidenza l'importanza che il canto gregoriano ha avuto nel
quadro del cammino della musica europea durante l'intero arco del Medioevo,
nonché di segnalare la presenza, in Piemonte, di molteplici e prestigiosi
centri di elaborazione di quel canto.
1. - LE ORIGINI DELLA MUSICA EUROPEA
La musica europea ha avuto le sue origini nel Medioevo. E' ben vero che
essa è esistita in Europa assai prima di quel periodo storico, ma di quella fase
più antica non è rimasta traccia.
Si sa, inoltre, che i greci
vissuti nei secoli anteriori all'era cristiana amavano la musica e con essa
accompagnavano feste civili e religiose, spettacoli teatrali, canti poetici,
racconti epici. Ma di essa non si conosce nulla. Si possiede qualche
descrizione lasciata da scrittori che la udirono, fra di essi Platone e
Aristotele; ma quelle descrizioni sono lontanissime dall'offrire una esperienza
diretta della musica greca. Nella
seconda metà del sec XVI a Firenze la Camerata dei Bardi tentò di ricostruirla,
però il tentativo si rivelò fortemente utopistico e non approdò a risultati
concreti.
Si tradirebbe la storia se si
negasse che la musica medioevale nacque in un contesto culturale sostanziato di
cristianesimo e che per parecchi secoli quel contesto culturale alimentò
l'espressione musicale e le forme in cui quella espressione si manifestò. Il
fenomeno è analogo a quello verificatosi nella letteratura, nella pittura e in
altre forme della creazione artistica 1
2. - IL CANTO GREGORIANO
Infatti, risalendo indietro nel tempo, i primi segni di musica europea
sono quelli che riguardano il canto gregoriano. Si tratta di un vastissimo
patrimonio di musiche vocali che venne creato dalle comunità cristiane nei primi
secoli dopo Cristo e che accompagnò il crescere e lo svilupparsi delle comunità
stesse. Questo complesso di musiche assunse in seguito la denominazione di
"gregoriano" dal nome di Gregorio Magno (che fu Papa dal 590 al 604),
al quale venne attribuita una importante riforma del canto liturgico cristiano.
Le comunità cristiane furono la "culla" della musica europea
perché una delle caratteristiche essenziali dei primi cristiani era la gioia,
la gioia incontenibile di aver incontrato Cristo, Maestro e Signore, di aver
scoperto alla luce del messaggio evangelico il senso autentico della vita e di
poter proiettare il proprio orizzonte al dì là dei confini della morte, di
quella morte che Cristo aveva affrontato accettando la croce e aveva sconfitto
con la resurrezione.
La gioia genera
spontaneamente il canto. La preghiera dei cristiani, cioè il loro rivolgersi a
Dio per lodarlo, ringraziarlo, chiedergli perdono, trovò fin dalle origini la
sua naturale espressione nella musica.
Si trattava di musica monodica
cioè di musica che, cantata da una voce sola o da più voci all'unisono, seguiva
un'unica linea melodica. Era una melodia semplice e assai limitata, contenuta
entro intervalli ridottissimi, quasi priva di ritmi e molto vicina alla parola
parlata. In sostanza, era un discorso sillabato in note, più che musica dotata
di una sua autonomia e governata da una nota dominante. Un simile
"discorso cantato" rivelava tuttavia (e rivela tuttora) insospettate
risorse di concentrazione, di calma distensiva, di lenta ed efficace immersione
in un mondo di valori che tocca le radici stesse dell'uomo e gli interrogativi
fondamentali della vita umana.
Per parecchi secoli i canti
gregoriani si trasmisero di generazione in generazione per tradizione orale;
poi si cominciò ad usare un sistema di notazione neumatica, consistente in
gruppi di segni che andarono via via perfezionandosi. In tal modo quei canti
poterono essere "fissati" sulla carta e consegnati alla posterità.
I grandi laboratori di
questa musica furono le abbazie, che il Piemonte annovera in gran numero. Chi
visiti la Sacra di S.Michele (splendida costruzione medioevale che domina
dall'alto la vallata di Susa e che fu sede di una antichissima abbazia) oppure
l'abbazia di S.Andrea a Vercelli, o quella di Staffarda nel Saluzzese o quella
di Vezzolano nell'Astigiano o quella di Ranverso presso Avigliana o di Novalesa
in quel di Susa, non può evitare di commuoversi al pensiero che sotto le volte
auguste di quei solenni edifici risonarono per secoli i canti gregoriani dei
monaci, espressione di preghiera a Dio e di unione fraterna della comunità..
Per avere un'idea di quel
tipo di canto si può ascoltare l'introito della terza Messa di Natale: "Puer
natus est nobis et filius datus est nobis, cujus imperium in humerum ejus, et
vocabitur nomen ejus 'magni consilii angelus'... ". È la profezia di
Isaia che preannuncia il mistero del Natale: "Ci è nato un bambino, ci è
stato donato un figlio, sulle cui spalle poggia il governo del mondo, e il suo
nome sarà 'angelo del gran consiglio..."(Is. 9,6). II canto è dolcissimo e
nelle gioiose, ma composte, volute della sua melodia esprime lo stupore e la
letizia del grande annuncio natalizio.
3. - GIUBILI E TROPI
Nel corso dei secoli cominciarono a fiorire ad un certo punto nel canto
i "giubili". Erano vere e proprie esplosioni di gioia che si
manifestavano in lunghi vocalizzi, centrati su una sola sillaba e legati
specialmente alla parola Alleluja, parola ebraica composta da halelu (Lodate) e
da ja (abbreviazione di Jahweh, che è il nome con cui Dio si rivelò a Mosè nel
roveto ardente e che significa "Colui che è").
Le parole latine dell’Alleluja, che apre e chiude l’Oportebat della
Messa della terza domenica dopo Pasqua, dicono: "Occorreva che Cristo
patisse e risorgesse dai morti e così entrasse nella sua gloria".
La frase è preceduta e seguita da un Alleluja ricchissimo di vocalizzi che
indugiano a lungo sulle singole sillabe e sprigionano ondate di gioia
intensamente meditative.
S. Agostino in un bellissimo brano illustra il senso di questi giubili
e afferma: "Chi giubila non dice parole: è una specie di suono di gioia
senza parole (sonus quidam est laetitiae sine verbis). Godendo nella sua
esultanza di certe parole che non si possono dire né intendere, l'uomo prorompe
in una specie di voce d'esultanza senza parole, sì che egli pare godere della
voce stessa, incapace, per troppo gaudio, di spiegare con parole ciò che gode". 2
Viene da pensare alla gioia travolgente e contagiosa che percorre le
pagine pasquali dei Vangeli, la gioia di quegli uomini e di quelle donne che
incontrano Gesù risorto, ritrovando il loro amico e maestro che ritenevano di
aver perduto nella tragedia della croce.
Ad un certo punto dello sviluppo del gregoriano per la progressiva
dilatazione dei giubili si sente l'esigenza di appoggiare le note dei vocalizzi
a parole nuove, ad un testo integrativo. Nascono in tal modo i
"tropi". La parola greca "tropo" significa
"mutamento", "trasformazione", "farcitura", cioè
inserimento nell'antico testo liturgico di nuove espressioni che modificano il
testo originario. I primi tropi vengono attribuiti a Tutilone, un monaco
vissuto nell'Abbazia di San Gallo, in Svizzera, un ingegno versatile distintosi
come pittore, architetto, orefice e musicista, morto a San Gallo nel 915.
Per avere un'idea del "tropo" si può riprendere il "Puer
natus est nobis", già menzionato e ascoltare nel testo di Tutilone le
frasi che vengono aggiunte al testo originario. Esse invitano a celebrare il
fanciullo "generato ineffabilmente dal Padre prima dell'inizio del tempo e
generato dall'inclita Madre durante il tempo".
4. - LE SEQUENZE
Nascono altresì le "sequenze", che sono "sequele"
(cioè "seguiti") di parole organizzate in versi e in strofe con cui
si commentano verità della fede o avvenimenti raccontati dalla Bibbia. Si
tratta di piccoli componimenti poetici, ricchi di vibrazioni intense e
commosse. In essi troviamo i primi abbozzi di rima e di ritmo. Il Dies irae
di Tommaso da Celano, il Lauda Sion Salvatorem di Tommaso d'Aquino, il Victimae
paschali di Vipone, il Veni Creator Spiritus attribuito a Rabano
Mauro ne sono alcuni esempi.
Il primo autore di sequenze
sembra sia stato Notker, un monaco dell'Abbazia svizzera di San Gallo che morì
vecchissimo nel 912. Soprannominato "balbulus", perchè balbuziente,
era musico e poeta, scrisse un Liber
hymnorum la cui prefazione è costituita da una lettera indirizzata al
vescovo di Vercelli, Liutprando.
A Notker viene attribuita la
più antica sequenza pervenutaci intitolata Media vita in morte sumus
("Nel mezzo della vita siamo colti dalla morte"). Si racconta che
egli sia stato ispirato a comporla mentre attraversava un ponte altissimo,
sospeso su di un abisso. Più che un ponte era probabilmente una primitiva passerella di assicelle di legno,
sostenute da due lunghissime corde fissate alle due estremità del precipizio.
Quella congiuntura lo indusse a meditare sulla precarietà della vita.
E' un'esperienza interessante ascoltare questa sequenza di Notker,
ovviamente cantata in latino. Le strofe mettono in evidenza la precarietà della
vita, ma sono permeate da una fede limpida e serena, espressa soprattutto dal
ritornello Sanctus Deus, Sanctus fortis, Sanctus misericors Salvator
("Santo Dio, Santo forte, Santo Salvatore misericordioso"), contenente
l'invocazione "Non consegnarci ad una morte amara".
Un secolo più tardi, a Wipo o
Vipone, che era cappellano alla corte dell'imperatore Corrado II e che morì nel
1050 in Svizzera, è attribuita la sequenza Victimae paschali laudes
immolent cristiani ("I cristiani offrano lodi alla vittima
pasquale"). Questa sequenza è illuminata dalla gioia dell'incontro con
Cristo risorto e presenta una caratteristica molto importante: quella di
contenere un breve dialogo che adombra il primo abbozzo di sacra rappresentazione.
Dice: "Alla vittima pasquale offrano lodi i cristiani. L'Agnello ha
redento le pecore. Cristo ha riconciliato col Padre i peccatori. Morte e vita
si sono affrontate in un mirabile duello: il
Principe della vita, che era morto, regna vivo. Dicci, Maria, che cosa
vedesti per via? Vidi il sepolcro di Cristo vivente e la gloria del risorto;
precede i suoi in Galilea. Sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti.
Tu, re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Alleluja ".3
L'abbozzo di sacra
rappresentazione sta nel brevissimo dialogo (domanda e risposta) tra il
credente e Maria Maddalena.
5. - DALLA MONODIA ALLA POLIFONIA
La grande avventura della musica dopo il Mille è costituita da un lento
e graduale passaggio dalla monodia od "omofonia"(che significa
"voce uguale") alla "polifonia" (che significa
"pluralità di voci"). Dal gregoriano nasce, si potrebbe ben dire
"per generazione spontanea", un nuovo tipo di canto.
Infatti il gregoriano - come
s'è detto - era rigorosamente monodico ed omofono, anche quando era cantato in
coro, mentre i primi tentativi di polifonia affiancano all'unica voce una
seconda voce che canta seguendo una linea diversa, distanziata rispetto alla
linea della prima. Questi tentativi assumono la denominazione di organum,
parola latina che significa "macchina", "organo" e che a
sua volta deriva dalla parola greca ergon, il cui significato è lavoro,
fatica, opera, azione complessa. Dunque, partendo dal gregoriano la musica si
fa più complessa, va alla scoperta di strade nuove e affronta di conseguenza
nuovi problemi. E' un fenomeno vasto, che ha le sue radici sia nella musica
popolare sia nella stessa musica religiosa, nella quale va prendendo quota il
filone delle sacre rappresentazioni. Un primo esempio di "divaricazione"
di due voci distinte in una sequenza religiosa è il canto intitolato Rex
coeli, Domine maris undisoni ("Re del cielo, Signore del mare sonante
di onde"): esso consta di varie strofe che vengono cantate
alternativamente, e cioè una strofa in gregoriano monodico e un'altra a due
voci con canto polifonico.
Se si ascolta quella
sequenza, la prima strofa non pone problemi, perché è un canto nel solito stile gregoriano, mentre la
seconda strofa riserva una sorpresa: la prima sillaba viene cantata all'unisono;
ma, dalla seconda sillaba in poi, alla prima voce si affianca una seconda voce
che via via si allontana dalla precedente, seguendo un percorso autonomo.
Questa seconda voce, poi, si riavvicina gradualmente alla prima fino a
concludere la strofa sulla stessa nota iniziale, cantata omofonicamente. La
terza strofa è nuovamente in gregoriano, ma nella quarta si ripete la
"divaricazione". L'impatto con questa novità è davvero emozionante;
sembra di assistere ad una sperimentazione che scopre nuovi orizzonti. Fa parte
di quei nuovi orizzonti la dissonanza, perché la primitività dell'accostamento
di due note diverse non ha ancora scoperto le possibilità dell'armonia. E gli
effetti sono sorprendenti .
6. - L"ARS ANTIQUA"
Gli storici della musica sono soliti individuare, nella evoluzione che
la musica medioevale ha subito a partire dal canto gregoriano, due fasi
fondamentali: quella dell'Ars antiqua e quella dell'Ars nova.
Esse si sviluppano entrambe in Francia. L'Ars antiqua ha i suoi
autori più significativi in Léonin e Perotin, che furono - in tempi diversi -
organisti della cattedrale di Notre Dame a Parigi.
Léonin visse nel sec XII,
venne chiamato Magister Leoninus e scrisse un Magnus liber
organi in cui raccolse una serie di brani polifonici (organa) per il ciclo
dell'anno liturgico. Perotin visse tra il 1183 e il 1236, sviluppò il
procedimento polifonico con grande perizia e sensibilità, arrivando a coniugare
quattro voci diverse e ponendo le basi del mottetto. Per il suo grande
prestigio venne chiamato Magister Perotinus Magnus. Poiché entrambi si
cimentarono con gli stessi testi liturgici, testi che d'altronde il gregoriano aveva ripetutamente musicato, è
estremamente interessante ascoltare e confrontare un brano di Léonin e un brano
di Perotin composti sul medesimo testo, rilevandone le differenze.
Nel Viderunt omnes,
che Léonin compose per due voci e Perotin per quattro, si avverte nettamente il
superamento della monodia gregoriana e si colgono le grandi possibilità
espressive dei nuovi procedimenti polifonici, messi in evidenza dal fatto che
si alternano frasi cantate polifonicamente e frasi cantate in gregoriano.
Dall'altro lato si avvertono le differenze tra i due compositori e, in
particolare, la maggiore vivacità e complessità di elaborazione di Perotin
(vissuto qualche decennio più tardi di Léonin), la cui composizione acquista un
tono particolarmente festoso, evocando verso la fine un vigoroso e animato
scampanìo.
Viderunt omnes sono le
prime parole del graduale della terza Messa di Natale, il quale dice: "Tutti
i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio. II Signore ha reso
nota la sua salvezza: ha rivelato la sua giustizia davanti a tutte le genti".4
La musica di Perotin ha un
empito lirico che commuove: non si dimentichi, infatti, che Perotin visse
all'epoca in cui in Francia sorgevano le grandi cattedrali gotiche, e la sua
musica rivela una struttura architettonica di voci che si susseguono e si
sovrappongono con lo slancio di archi rampanti. La musica di Léonin, che è più
antica, presenta invece asprezze ed angolosità, ricche di dissonanze e dotate
di una forza primordiale, in un certo senso, barbarica. Sono due diversi tipi
di gotico musicale.
Non si cerchino in questa
musica gradevoli armonie. Come ho già accennato, si tratta di un'epoca in cui
l'armonia non è ancora stata scoperta. La sovrapposizione di voci diverse non è
regolata da leggi armoniche e da una ricerca di intrecci di note che producano
sensazioni piacevoli all'orecchio. La bellezza di queste musiche sta negli
effetti nuovi e sorprendenti per l'epoca, che il musicista ricava dalla
sperimentazione di accostamenti di due, tre, quattro voci. Questo sistema viene
chiamato "contrappunto", cioè punctum contra punctum, nota
contro nota.
7. - L'
"ARS NOVA"
II Trecento è caratterizzato dall’Ars nova, il cui maggiore esponente
fu Guillaume de Machaut, nato a Machaut nei pressi di Reims intorno al 1300 e
morto nel 1377 a Reims. Nel 1323 egli divenne segretario del re di Boemia e
duca di Lussemburgo e in tale veste viaggiò moltissimo: in Polonia, Boemia,
Slesia, Fiandre, Italia e Inghilterra. Fu poeta e musicista e la letteratura
francese lo annovera tra i più grandi poeti del Medioevo, ma fu altrettanto
grande come musicista. Compose molta musica sacra, tra cui la famosa Messa di
Notre Dame, che è la prima Messa, polifonica a quattro voci, composta
interamente da un medesimo musicista. Secondo la tradizione sarebbe stata
scritta per l'incoronazione di re Carlo V, avvenuta nel 1364 nella cattedrale
di Reims.
E' una messa fortemente suggestiva nella quale le quattro voci si
combinano in impasti sonori ricchi di colore, di solennità, di soluzioni
inedite. C'è ancora l'asprezza gotica, ma temperata da venature di dolcezza. II
ricorrere di un tema melodico, su cui sono strutturate le varie parti della
Messa, dà alla medesima una compatta unità musicale.
Un'altra composizione sacra che merita di essere ricordata per la sua
originalità è l'”Hoquetus David” (Il singhiozzo di Davide). La
denominazione ha una storia curiosa: non riguarda affatto un pianto
singhiozzante di Davide; la parola hoquetus è la letterale trascrizione in
latino della parola francese hoquet, che significa "singhiozzo" e che
sta ad indicare il carattere "sincopato" di alcuni passaggi, basati
su un effetto ritmico che ricorda il singhiozzo. Il nome David deriva dal fatto
che si tratta di un brano in onore della natività di Maria, nel quale c’è un
melisma sul nome di Davide, alla cui stirpe apparteneva la Madre di Gesù. Una
caratteristica singolare di questo brano sta nel fatto che esso, pur essendo
ispirato da un testo in lode della Madonna, è un brano esclusivamente
strumentale. Gli strumenti che lo eseguono sono due cornette, una cennamella e
un campanello, un complesso strumentale inedito e assai raro che aumenta la
singolarità e l'interesse dell' ascolto.
La maggiore produzione musicale di Guillaume de Machaut riguardò però
la musica profana. Era l'epoca della poesia "cortese" e della musica
dei trovatori. Guillaume scrisse innumerevoli poesie di "amor
cortese" e molte ne musicò rivestendo le parole con una musica trepida,
vibrante, sensibile. Essa si presenta gradevole all'orecchio perché i suoi
accordi sono più morbidi e "consonanti" di quelli usati dai
compositori dell'Ars antiqua.
Se si ascolta: "Se je souspir", si nota come sia ricco
di vibrazioni tenere e struggenti e pervaso da una grazia petrarchesca. Si
ricorda per inciso che, secondo taluni biografi, Guillaume avrebbe conosciuto
il Petrarca e sarebbe stato in contatto con lui. II brano: "Lasse!
Comment oublieray" è suggestivo e delicatissimo, mentre "Ha!
Fortune" è un lamento accorato che usa la metafora del battello nella
tempesta per esprimere il dolore di un amore non corrisposto.
8. - TROVATORI E TROVIERI - IL DOLCE STIL NOVO IN
MUSICA
L'epoca di Machaut è la stessa dei trovatori e dei trovieri. Infatti in
quel tempo l'Europa è percorsa da musici che si spostano nelle varie corti con
grande facilità. Non si esprimono più in latino bensì in lingua volgare,
diffondendo nella immobile società medioevale notizie, storie, modi nuovi di
espressione e nuovi stimoli culturali5.
Questo interscambio molto intenso ha, per la musica, la funzione di un
volano perché con esso la musica cresce, si dilata geograficamente, si
arricchisce di linguaggi nuovi. Ormai
lontana dallo stile del gregoriano, la composizione segue un ritmo determinato
e presenta molta varietà nella linea melodica.
I nomi di Jaufré Rudel, di
Bernard de Ventadorn, di Arnaut Daniel, di Bertrand de Born, di Rambaud de
Vaqueiras, di Adam de la Halle, di Walther von der Vogelweide documentano
l'esistenza di fermenti vivacissimi che interessano una vasta area dell'Europa;
coinvolgendo Francia, Germania e Italia.
Dante e Petrarca li apprezzano vivamente e risentono della loro
influenza. Nel corso del Trecento proprio in Italia si manifesta una originale Ars
nova italiana. Si sviluppa dapprima nell'Italia settentrionale (a Padova,
Verona, Milano e Bologna), dove coltiva principalmente il "madrigale"
e la "caccia"; poi si sposta
nell'Italia centrale, dove trova il suo epicentro in Firenze e nella figura di
Francesco Landino.
Landino (o Landini) nacque a
Firenze intorno al 1325 ed ebbe la disavventura di perdere la vista, quando era
ancora fanciullo, a causa di un attacco di vaiolo. Ciò nonostante si dedicò con
grande impegno alla musica e divenne un espertissimo suonatore d'organo. Lo
chiamarono "il cieco degli organi" ed ebbe in Italia una importanza
analoga a quella di Guillaume de Machaut in Francia. Come Machaut, fu anche
poeta e, proprio come poeta, vinse a Venezia una gara nella cui giuria c'era
Francesco Petrarca.
Sono interessanti da
ascoltare due suoi brani, "Nessun ponga speranza" e "Gran pianto
agli occhi". II primo è un madrigale cantato da due tenori e un basso: è
un brano complesso per la combinazione delle tre voci, ma la tessitura
evidenzia momenti dolcissimi. II secondo è una ballata, affidata a una voce di
tenore accompagnata da viella e liuto, che canta il dolore di un amore perduto.
I versi arieggiano lo stile dei poeti del "dolce stil novo" e la
musica dà loro una veste soavissima, sì da meritare all'opera di Landino la
qualifica di "dolce stil novo in musica". Egli morì nel 1397 e fu
sepolto nella chiesa di San Lorenzo. Impressionante per potenza espressiva è il
suo ritratto scolpito sulla lapide sepolcrale della sua tomba: le due occhiaie
vuote sono due buchi neri e senza sguardo, ma da essi emana una luce che
illumina di mitezza e di profondità il suo volto concentrato e sereno.
1.
R.
Venditti: Piccola guida alla grande musica, vol .IV (dall'epoca di Dante a quella di
Goldoni), Edizioni Sonda, Casale
Monf.,1997, pag, 13.
Per
approfondimenti: C..Passalacqua, Biografia del gregoriano, Nuova
Accademia Editrice, Milano, 1963;
F.Rainoldi, Gregoriano (Canto), in
Dizionario
Enciclopedico della Muscia e dei Musicisti (D.E.U.M.M.) - Lessico, a
cura di A.Basso, UTET, Torino, 1998, vol.II, pp.422-447; E.Costa, Sacra (Musica), ivi,
vol.IV, 1999, pp.188-196.
NOTE:
1.
R.
Venditti: Piccola guida alla grande musica, vol .IV (dall'epoca di Dante a quella di
Goldoni), Edizioni Sonda, Casale
Monf.,1997, pag, 13.
Per
approfondimenti: C..Passalacqua, Biografia del gregoriano, Nuova
Accademia Editrice, Milano, 1963;
F.Rainoldi, Gregoriano (Canto), in
Dizionario
Enciclopedico della Muscia e dei Musicisti (D.E.U.M.M.) - Lessico, a
cura di A.Basso, UTET, Torino, 1998, vol.II, pp.422-447; E.Costa, Sacra (Musica), ivi,
vol.IV, 1999, pp.188-196.
2. S. Agostino, Commento ai salmi 99 e 32
3 R. Venditti:, op.cit. pag. 26
4 R.Venditti, op.cit., pag. 34.
5 Su questo movimento e sull''origine della
parrola "trovatore" può vedersi , più
avanti, il capitolo intitolato "I primi trovatori subalpini",
a cura di Grazia Bruni Fasano.
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