viernes, 3 de marzo de 2023

 

DAL CANTO GREGORIANO ALLA POLIFONIA DEL TRECENTO

 

a cura di Rodolfo Venditti


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PREMESSA

 

II titolo esprime efficacemente l'ampiezza degli argomenti trattati perché, esaminando il canto gregoriano, si è costretti ad allargare l'orizzonte all'intera evoluzione della musica medioevale. Lo scopo di questo scritto è quello di mettere in evidenza l'importanza che il canto gregoriano ha avuto nel quadro del cammino della musica europea durante l'intero arco del Medioevo, nonché di segnalare la presenza, in Piemonte, di molteplici e prestigiosi centri di elaborazione di quel canto.

 

1. - LE ORIGINI DELLA MUSICA EUROPEA

 

La musica europea ha avuto le sue origini nel Medioevo. E' ben vero che essa è esistita in Europa assai prima di quel periodo storico, ma di quella fase più antica non è rimasta traccia.

    Si sa, inoltre, che i greci vissuti nei secoli anteriori all'era cristiana amavano la musica e con essa accompagnavano feste civili e religiose, spettacoli teatrali, canti poetici, racconti epici. Ma di essa non si conosce nulla. Si possiede qualche descrizione lasciata da scrittori che la udirono, fra di essi Platone e Aristotele; ma quelle descrizioni sono lontanissime dall'offrire una esperienza diretta della musica greca.  Nella seconda metà del sec XVI a Firenze la Camerata dei Bardi tentò di ricostruirla, però il tentativo si rivelò fortemente utopistico e non approdò a risultati concreti

Si tradirebbe la storia se si negasse che la musica medioevale nacque in un contesto culturale sostanziato di cristianesimo e che per parecchi secoli quel contesto culturale alimentò l'espressione musicale e le forme in cui quella espressione si manifestò. Il fenomeno è analogo a quello verificatosi nella letteratura, nella pittura e in altre forme della creazione artistica 1

 

2. - IL CANTO GREGORIANO

 

Infatti, risalendo indietro nel tempo, i primi segni di musica europea sono quelli che riguardano il canto gregoriano. Si tratta di un vastissimo patrimonio di musiche vocali che venne creato dalle comunità cristiane nei primi secoli dopo Cristo e che accompagnò il crescere e lo svilupparsi delle comunità stesse. Questo complesso di musiche assunse in seguito la denominazione di "gregoriano" dal nome di Gregorio Magno (che fu Papa dal 590 al 604), al quale venne attribuita una importante riforma del canto liturgico cristiano.

Le comunità cristiane furono la "culla" della musica europea perché una delle caratteristiche essenziali dei primi cristiani era la gioia, la gioia incontenibile di aver incontrato Cristo, Maestro e Signore, di aver scoperto alla luce del messaggio evangelico il senso autentico della vita e di poter proiettare il proprio orizzonte al dì là dei confini della morte, di quella morte che Cristo aveva affrontato accettando la croce e aveva sconfitto con la resurrezione.

    La gioia genera spontaneamente il canto. La preghiera dei cristiani, cioè il loro rivolgersi a Dio per lodarlo, ringraziarlo, chiedergli perdono, trovò fin dalle origini la sua naturale espressione   nella musica.

    Si trattava di musica monodica cioè di musica che, cantata da una voce sola o da più voci all'unisono, seguiva un'unica linea melodica. Era una melodia semplice e assai limitata, contenuta entro intervalli ridottissimi, quasi priva di ritmi e molto vicina alla parola parlata. In sostanza, era un discorso sillabato in note, più che musica dotata di una sua autonomia e governata da una nota dominante. Un simile "discorso cantato" rivelava tuttavia (e rivela tuttora) insospettate risorse di concentrazione, di calma distensiva, di lenta ed efficace immersione in un mondo di valori che tocca le radici stesse dell'uomo e gli interrogativi fondamentali della vita umana.

    Per parecchi secoli i canti gregoriani si trasmisero di generazione in generazione per tradizione orale; poi si cominciò ad usare un sistema di notazione neumatica, consistente in gruppi di segni che andarono via via perfezionandosi. In tal modo quei canti poterono essere "fissati" sulla carta e consegnati alla posterità.

     I grandi laboratori di questa musica furono le abbazie, che il Piemonte annovera in gran numero. Chi visiti la Sacra di S.Michele (splendida costruzione medioevale che domina dall'alto la vallata di Susa e che fu sede di una antichissima abbazia) oppure l'abbazia di S.Andrea a Vercelli, o quella di Staffarda nel Saluzzese o quella di Vezzolano nell'Astigiano o quella di Ranverso presso Avigliana o di Novalesa in quel di Susa, non può evitare di commuoversi al pensiero che sotto le volte auguste di quei solenni edifici risonarono per secoli i canti gregoriani dei monaci, espressione di preghiera a Dio e di unione fraterna della comunità..

     Per avere un'idea di quel tipo di canto si può ascoltare l'introito della terza Messa di Natale: "Puer natus est nobis et filius datus est nobis, cujus imperium in humerum ejus, et vocabitur nomen ejus 'magni consilii angelus'... ". È la profezia di Isaia che preannuncia il mistero del Natale: "Ci è nato un bambino, ci è stato donato un figlio, sulle cui spalle poggia il governo del mondo, e il suo nome sarà 'angelo del gran consiglio..."(Is. 9,6). II canto è dolcissimo e nelle gioiose, ma composte, volute della sua melodia esprime lo stupore e la letizia del grande annuncio natalizio.

 

3. - GIUBILI E TROPI

 

Nel corso dei secoli cominciarono a fiorire ad un certo punto nel canto i "giubili". Erano vere e proprie esplosioni di gioia che si manifestavano in lunghi vocalizzi, centrati su una sola sillaba e legati specialmente alla parola Alleluja, parola ebraica composta da halelu (Lodate) e da ja (abbreviazione di Jahweh, che è il nome con cui Dio si rivelò a Mosè nel roveto ardente e che significa "Colui che è").

Le parole latine dell’Alleluja, che apre e chiude l’Oportebat della Messa della terza domenica dopo Pasqua, dicono: "Occorreva che Cristo patisse e risorgesse dai morti e così entrasse nella sua gloria". La frase è preceduta e seguita da un Alleluja ricchissimo di vocalizzi che indugiano a lungo sulle singole sillabe e sprigionano ondate di gioia intensamente meditative.

S. Agostino in un bellissimo brano illustra il senso di questi giubili e afferma: "Chi giubila non dice parole: è una specie di suono di gioia senza parole (sonus quidam est laetitiae sine verbis). Godendo nella sua esultanza di certe parole che non si possono dire né intendere, l'uomo prorompe in una specie di voce d'esultanza senza parole, sì che egli pare godere della voce stessa, incapace, per troppo gaudio, di spiegare con parole ciò che gode".  2  Viene da pensare alla gioia travolgente e contagiosa che percorre le pagine pasquali dei Vangeli, la gioia di quegli uomini e di quelle donne che incontrano Gesù risorto, ritrovando il loro amico e maestro che ritenevano di aver perduto nella tragedia della croce.

Ad un certo punto dello sviluppo del gregoriano per la progressiva dilatazione dei giubili si sente l'esigenza di appoggiare le note dei vocalizzi a parole nuove, ad un testo integrativo. Nascono in tal modo i "tropi". La parola greca "tropo" significa "mutamento", "trasformazione", "farcitura", cioè inserimento nell'antico testo liturgico di nuove espressioni che modificano il testo originario. I primi tropi vengono attribuiti a Tutilone, un monaco vissuto nell'Abbazia di San Gallo, in Svizzera, un ingegno versatile distintosi come pittore, architetto, orefice e musicista, morto a San Gallo nel 915.

Per avere un'idea del "tropo" si può riprendere il "Puer natus est nobis", già menzionato e ascoltare nel testo di Tutilone le frasi che vengono aggiunte al testo originario. Esse invitano a celebrare il fanciullo "generato ineffabilmente dal Padre prima dell'inizio del tempo e generato dall'inclita Madre durante il tempo".

 

4. - LE SEQUENZE

 

Nascono altresì le "sequenze", che sono "sequele" (cioè "seguiti") di parole organizzate in versi e in strofe con cui si commentano verità della fede o avvenimenti raccontati dalla Bibbia. Si tratta di piccoli componimenti poetici, ricchi di vibrazioni intense e commosse. In essi troviamo i primi abbozzi di rima e di ritmo. Il Dies irae di Tommaso da Celano, il Lauda Sion Salvatorem di Tommaso d'Aquino, il Victimae paschali di Vipone, il Veni Creator Spiritus attribuito a Rabano Mauro ne sono alcuni esempi.

    Il primo autore di sequenze sembra sia stato Notker, un monaco dell'Abbazia svizzera di San Gallo che morì vecchissimo nel 912. Soprannominato "balbulus", perchè balbuziente, era musico e poeta,  scrisse un Liber hymnorum la cui prefazione è costituita da una lettera indirizzata al vescovo di Vercelli, Liutprando.

    A Notker viene attribuita la più antica sequenza pervenutaci intitolata Media vita in morte sumus ("Nel mezzo della vita siamo colti dalla morte"). Si racconta che egli sia stato ispirato a comporla mentre attraversava un ponte altissimo, sospeso su di un abisso. Più che un ponte era probabilmente  una primitiva passerella di assicelle di legno, sostenute da due lunghissime corde fissate alle due estremità del precipizio. Quella congiuntura lo indusse a meditare sulla precarietà della vita.

E' un'esperienza interessante ascoltare questa sequenza di Notker, ovviamente cantata in latino. Le strofe mettono in evidenza la precarietà della vita, ma sono permeate da una fede limpida e serena, espressa soprattutto dal ritornello Sanctus Deus, Sanctus fortis, Sanctus misericors Salvator ("Santo Dio, Santo forte, Santo Salvatore misericordioso"), contenente l'invocazione "Non consegnarci ad una morte amara".

    Un secolo più tardi, a Wipo o Vipone, che era cappellano alla corte dell'imperatore Corrado II e che morì nel 1050 in Svizzera, è attribuita la sequenza Victimae paschali laudes immolent cristiani ("I cristiani offrano lodi alla vittima pasquale"). Questa sequenza è illuminata dalla gioia dell'incontro con Cristo risorto e presenta una caratteristica molto importante: quella di contenere un breve dialogo che adombra il primo abbozzo di sacra rappresentazione. Dice: "Alla vittima pasquale offrano lodi i cristiani. L'Agnello ha redento le pecore. Cristo ha riconciliato col Padre i peccatori. Morte e vita si sono affrontate in un mirabile duello: il  Principe della vita, che era morto, regna vivo. Dicci, Maria, che cosa vedesti per via? Vidi il sepolcro di Cristo vivente e la gloria del risorto; precede i suoi in Galilea. Sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti. Tu, re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Alleluja ".3

    L'abbozzo di sacra rappresentazione sta nel brevissimo dialogo (domanda e risposta) tra il credente e Maria Maddalena.

 

5. - DALLA MONODIA ALLA POLIFONIA

 

La grande avventura della musica dopo il Mille è costituita da un lento e graduale passaggio dalla monodia od "omofonia"(che significa "voce uguale") alla "polifonia" (che significa "pluralità di voci"). Dal gregoriano nasce, si potrebbe ben dire "per generazione spontanea", un nuovo tipo di canto.

    Infatti il gregoriano - come s'è detto - era rigorosamente monodico ed omofono, anche quando era cantato in coro, mentre i primi tentativi di polifonia affiancano all'unica voce una seconda voce che canta seguendo una linea diversa, distanziata rispetto alla linea della prima. Questi tentativi assumono la denominazione di organum, parola latina che significa "macchina", "organo" e che a sua volta deriva dalla parola greca ergon, il cui significato è lavoro, fatica, opera, azione complessa. Dunque, partendo dal gregoriano la musica si fa più complessa, va alla scoperta di strade nuove e affronta di conseguenza nuovi problemi. E' un fenomeno vasto, che ha le sue radici sia nella musica popolare sia nella stessa musica religiosa, nella quale va prendendo quota il filone delle sacre rappresentazioni. Un primo esempio di "divaricazione" di due voci distinte in una sequenza religiosa è il canto intitolato Rex coeli, Domine maris undisoni ("Re del cielo, Signore del mare sonante di onde"): esso consta di varie strofe che vengono cantate alternativamente, e cioè una strofa in gregoriano monodico e un'altra a due voci con canto polifonico.

    Se si ascolta quella sequenza, la prima strofa non pone problemi, perché è un  canto nel solito stile gregoriano, mentre la seconda strofa reserva una sorpresa: la prima sillaba viene cantata all'unisono; ma, dalla seconda sillaba in poi, alla prima voce si affianca una seconda voce che via via si allontana dalla precedente, seguendo un percorso autonomo. Questa seconda voce, poi, si riavvicina gradualmente alla prima fino a concludere la strofa sulla stessa nota iniziale, cantata omofonicamente. La terza strofa è nuovamente in gregoriano, ma nella quarta si ripete la "divaricazione". L'impatto con questa novità è davvero emozionante; sembra di assistere ad una sperimentazione che scopre nuovi orizzonti. Fa parte di quei nuovi orizzonti la dissonanza, perché la primitività dell'accostamento di due note diverse non ha ancora scoperto le possibilità dell'armonia. E gli effetti sono sorprendenti.

 

6. - L"ARS ANTIQUA"

 

Gli storici della musica sono soliti individuare, nella evoluzione che la musica medioevale ha subito a partire dal canto gregoriano, due fasi fondamentali: quella dell'Ars antiqua e quella dell'Ars nova. Esse si sviluppano entrambe in Francia. L'Ars antiqua ha i suoi autori più significativi in Léonin e Perotin, che furono - in tempi diversi - organisti della cattedrale di Notre Dame a Parigi.

    Léonin visse nel sec XII, venne chiamato Magister Leoninus e scrisse un Magnus liber organi in cui raccolse una serie di brani polifonici (organa) per il ciclo dell'anno liturgico. Perotin visse tra il 1183 e il 1236, sviluppò il procedimento polifonico con grande perizia e sensibilità, arrivando a coniugare quattro voci diverse e ponendo le basi del mottetto. Per il suo grande prestigio venne chiamato Magister Perotinus Magnus. Poiché entrambi si cimentarono con gli stessi testi liturgici, testi che d'altronde il gregoriano aveva ripetutamente musicato, è estremamente interessante ascoltare e confrontare un brano di Léonin e un brano di Perotin composti sul medesimo testo, rilevandone le differenze.

    Nel Viderunt omnes, che Léonin compose per due voci e Perotin per quattro, si avverte nettamente il superamento della monodia gregoriana e si colgono le grandi possibilità espressive dei nuovi procedimenti polifonici, messi in evidenza dal fatto che si alternano frasi cantate polifonicamente e frasi cantate in gregoriano. Dall'altro lato si avvertono le differenze tra i due compositori e, in particolare, la maggiore vivacità e complessità di elaborazione di Perotin (vissuto qualche decennio più tardi di Léonin), la cui composizione acquista un tono particolarmente festoso, evocando verso la fine un vigoroso e animato scampanìo.

    Viderunt omnes sono le prime parole del graduale della terza Messa di Natale, il quale dice: "Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio. II Signore ha reso nota la sua salvezza: ha rivelato la sua giustizia davanti a tutte le genti".4

    La musica di Perotin ha un empito lirico che commuove: non si dimentichi, infatti, che Perotin visse all'epoca in cui in Francia sorgevano le grandi cattedrali gotiche, e la sua musica rivela una struttura architettonica di voci che si susseguono e si sovrappongono con lo slancio di archi rampanti. La musica di Léonin, che è più antica, presenta invece asprezze ed angolosità, ricche di dissonanze e dotate di una forza primordiale, in un certo senso, barbarica. Sono due diversi tipi di gotico musicale.

    Non si cerchino in questa musica gradevoli armonie. Come ho già accennato, si tratta di un'epoca in cui l'armonia non è ancora stata scoperta. La sovrapposizione di voci diverse non è regolata da leggi armoniche e da una ricerca di intrecci di note che producano sensazioni piacevoli all'orecchio. La bellezza di queste musiche sta negli effetti nuovi e sorprendenti per l'epoca, che il musicista ricava dalla sperimentazione di accostamenti di due, tre, quattro voci. Questo sistema viene chiamato "contrappunto", cioè punctum contra punctum, nota contro nota.

 


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7. - L'  "ARS NOVA"

 

II Trecento è caratterizzato dall’Ars nova, il cui maggiore esponente fu Guillaume de Machaut, nato a Machaut nei pressi di Reims intorno al 1300 e morto nel 1377 a Reims. Nel 1323 egli divenne segretario del re di Boemia e duca di Lussemburgo e in tale veste viaggiò moltissimo: in Polonia, Boemia, Slesia, Fiandre, Italia e Inghilterra. Fu poeta e musicista e la letteratura francese lo annovera tra i più grandi poeti del Medioevo, ma fu altrettanto grande come musicista. Compose molta musica sacra, tra cui la famosa Messa di Notre Dame, che è la prima Messa, polifonica a quattro voci, composta interamente da un medesimo musicista. Secondo la tradizione sarebbe stata scritta per l'incoronazione di re Carlo V, avvenuta nel 1364 nella cattedrale di Reims.

E' una messa fortemente suggestiva nella quale le quattro voci si combinano in impasti sonori ricchi di colore, di solennità, di soluzioni inedite. C'è ancora l'asprezza gotica, ma temperata da venature di dolcezza. II ricorrere di un tema melodico, su cui sono strutturate le varie parti della Messa, dà alla medesima una compatta unità musicale.

Un'altra composizione sacra che merita di essere ricordata per la sua originalità è l'”Hoquetus David” (Il singhiozzo di Davide). La denominazione ha una storia curiosa: non riguarda affatto un pianto singhiozzante di Davide; la parola hoquetus è la letterale trascrizione in latino della parola francese hoquet, che significa "singhiozzo" e che sta ad indicare il carattere "sincopato" di alcuni passaggi, basati su un effetto ritmico che ricorda il singhiozzo. Il nome David deriva dal fatto che si tratta di un brano in onore della natività di Maria, nel quale c’è un melisma sul nome di Davide, alla cui stirpe apparteneva la Madre di Gesù. Una caratteristica singolare di questo brano sta nel fatto che esso, pur essendo ispirato da un testo in lode della Madonna, è un brano esclusivamente strumentale. Gli strumenti che lo eseguono sono due cornette, una cennamella e un campanello, un complesso strumentale inedito e assai raro che aumenta la singolarità e l'interesse dell' ascolto.

La maggiore produzione musicale di Guillaume de Machaut riguardò però la musica profana. Era l'epoca della poesia "cortese" e della musica dei trovatori. Guillaume scrisse innumerevoli poesie di "amor cortese" e molte ne musicò rivestendo le parole con una musica trepida, vibrante, sensibile. Essa si presenta gradevole all'orecchio perché i suoi accordi sono più morbidi e "consonanti" di quelli usati dai compositori dell'Ars antiqua.

Se si ascolta: "Se je souspir", si nota come sia ricco di vibrazioni tenere e struggenti e pervaso da una grazia petrarchesca. Si ricorda per inciso che, secondo taluni biografi, Guillaume avrebbe conosciuto il Petrarca e sarebbe stato in contatto con lui. II brano: "Lasse! Comment oublieray" è suggestivo e delicatissimo, mentre "Ha! Fortune" è un lamento accorato che usa la metafora del battello nella tempesta per esprimere il dolore di un amore non corrisposto.

 

8. - TROVATORI E TROVIERI - IL DOLCE STIL NOVO IN MUSICA

 

L'epoca di Machaut è la stessa dei trovatori e dei trovieri. Infatti in quel tempo l'Europa è percorsa da musici che si spostano nelle varie corti con grande facilità. Non si esprimono più in latino bensì in lingua volgare, diffondendo nella immobile società medioevale notizie, storie, modi nuovi di espressione e nuovi stimoli culturali5.

Questo interscambio molto intenso ha, per la musica, la funzione di un volano perché con esso la musica cresce, si dilata geograficamente, si arricchisce di  linguaggi nuovi. Ormai lontana dallo stile del gregoriano, la composizione segue un ritmo determinato e presenta molta varietà nella linea melodica.

    I nomi di Jaufré Rudel, di Bernard de Ventadorn, di Arnaut Daniel, di Bertrand de Born, di Rambaud de Vaqueiras, di Adam de la Halle, di Walther von der Vogelweide documentano l'esistenza di fermenti vivacissimi che interessano una vasta area dell'Europa; coinvolgendo Francia, Germania e Italia.  Dante e Petrarca li apprezzano vivamente e risentono della loro influenza. Nel corso del Trecento proprio in Italia si manifesta una originale Ars nova italiana. Si sviluppa dapprima nell'Italia settentrionale (a Padova, Verona, Milano e Bologna), dove coltiva principalmente il "madrigale" e la "caccia";  poi si sposta nell'Italia centrale, dove trova il suo epicentro in Firenze e nella figura di Francesco Landino.

    Landino (o Landini) nacque a Firenze intorno al 1325 ed ebbe la disavventura di perdere la vista, quando era ancora fanciullo, a causa di un attacco di vaiolo. Ciò nonostante si dedicò con grande impegno alla musica e divenne un espertissimo suonatore d'organo. Lo chiamarono "il cieco degli organi" ed ebbe in Italia una importanza analoga a quella di Guillaume de Machaut in Francia. Come Machaut, fu anche poeta e, proprio come poeta, vinse a Venezia una gara nella cui giuria c'era Francesco Petrarca.

Sono interessanti da ascoltare due suoi brani, "Nessun ponga speranza" e "Gran pianto agli occhi". II primo è un madrigale cantato da due tenori e un basso: è un brano complesso per la combinazione delle tre voci, ma la tessitura evidenzia momenti dolcissimi. II secondo è una ballata, affidata a una voce di tenore accompagnata da viella e liuto, che canta il dolore di un amore perduto. I versi arieggiano lo stile dei poeti del "dolce stil novo" e la musica dà loro una veste soavissima, sì da meritare all'opera di Landino la qualifica di "dolce stil novo in musica". Egli morì nel 1397 e fu sepolto nella chiesa di San Lorenzo. Impressionante per potenza espressiva è il suo ritratto scolpito sulla lapide sepolcrale della sua tomba: le due occhiaie vuote sono due buchi neri e senza sguardo, ma da essi emana una luce che illumina di mitezza e di profondità il suo volto concentrato e sereno.

NOTE:

1.      R. Venditti: Piccola guida alla grande musica,  vol .IV (dall'epoca di Dante a quella di Goldoni),  Edizioni Sonda, Casale Monf.,1997,  pag, 13.

          Per approfondimenti: C..Passalacqua, Biografia del gregoriano, Nuova Accademia Editrice, Milano, 1963;  F.Rainoldi, Gregoriano (Canto), in

          Dizionario Enciclopedico della Muscia e dei Musicisti (D.E.U.M.M.) - Lessico, a cura di A.Basso, UTET, Torino, 1998, vol.II, pp.422-447;     E.Costa, Sacra (Musica), ivi, vol.IV, 1999, pp.188-196.

 2.  S. Agostino, Commento ai salmi 99 e 32

           3   R. Venditti:, op.cit.  pag. 26

 4   R.Venditti, op.cit., pag. 34.

 5   Su questo movimento e sull''origine della parrola "trovatore" può vedersi , più  avanti, il capitolo intitolato "I primi trovatori subalpini", a cura di Grazia Bruni Fasano.

NOTE:

1-Rita Giacomino, Ezio Gilardi: LE MELODIE DEI CANTI POPOLARI DEL PIEMONTE di Costantino Nigra,   

    Associazione "Amici della Cultura Piemontese", Morra Artigrafiche, Almese 2005, pag. 4 

2 -Luigi Cinque: KUNSERTU - La musica popolare in Italia,  edizione Longanesi

3 -  ibidem, pag. 11           

4  - ibidem

5 - Giacomino-Gilardi: le melodie dei canti popolari del Piemonte di C. Nigra, pag. 13

6  - La grande storia del Piemonte, Bonechi – Firenze, 1999, 18/pag. 344

7  - ibidem, 3/pag. 41

8 - Camillo Brero : Storia della Letteratura Piemontese – Piemonte in Bancarella, Torino 1981 -vol. I,  pag,49

9 -  ibidem, pag 49

10 - ibidem, pag, 51-53, strofe 1,  15/18

11 - La grande storia del Piemonte 13/pag. 246

 

BIBLIOGRAFIA:

Camillo Brero: Storia della Letteratura Piemontese – volume primo – Editrice Piemonte in Bancarella- Anno 1981

Sapegno: Disegno storico della Letteratura Italiana – volume unico - La Nuova Italia, Firenze, 1948

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