ISTITUZIONI MONASTICHE PIEMONTESI TRA I SECOLI VI E XIII.
I MONASTERI BENEDETTINI
a cura della dottoressa Rosanna Ferrarotti
PROPOSTA DIDATTICA PER U.d.A
I.INTRODUZIONE
La proposta, che può
anche costituire una integrazione al manuale, intende soprattutto offrire allo
studente l'opportunità di utilizzare alcune fonti documentarie per indagare un
aspetto del Medioevo, quello del monachesimo occidentale.
Data l'ampiezza dell'argomento, è stata operata la scelta di assumere come
oggetto della ricerca il monastero benedettino, di cui sono state individuate
alcune tipologie, nell'arco di tempo compreso tra i secoli VI e XIII.
La proposta non è esaustiva ma si sforza di offrire elementi e strumenti
documentari per la conoscenza e l'analisi del fenomeno indagato: l'obiettivo è
metodologico più che informativo.
I contributi raccolti sotto il titolo
II. LE ORIGINI indirizzano
l'indagine sulle origini del monachesimo occidentale nel contesto storico e
culturale determinato dalla crisi dell'impero romano e dall'affermarsi
della societas christiana. La nascita del monastero viene
esemplificata prima attraverso due fonti documentarie che pongono in evidenza
l'aspetto "mitico" delle origini quindi, dalla leggenda e dal mito
fondante, l'analisi si sposta,
in III. I
RAPPORTI DEL MONASTERO CON IL POTERE POLITICO, alla realtà indagata
attraverso tipologie di atti di fondazione, con lo scopo di individuare i
soggetti che concorrono alla formazione dei monasteri. Sono esaminati i
rapporti tra il monastero e il potere politico e il significato della
protezione laica.
Sotto il titolo
IV. I RAPPORTI
GERARCHICI ALL'INTERNO DELLA COMUNITA' sono raccolte tipologie di documenti che illustrano
l'organizzazione del monastero, le regole, gli statuti, le funzioni, i
collegamenti con le altre comunità, i rapporti dei monaci tra di loro e nei
confronti dell'esterno.
La formazione della grande proprietà religiosa e la sua gestione sono l'oggetto
di
V. L'AMMINISTRAZIONE, con una
esemplificazione di documenti che attengono a inventari di beni e a contratti
agrari.
In VI. LA CULTURA si forniscono materiali per un approccio di
analisi del monastero come polo di vita culturale attraverso l'esemplificazione
di alcuni documenti riguardanti la biblioteca, il libro, la scuola.
I vari link dovrebbero agevolare le operazioni di informazione e di
collegamento, rispondendo in modo sintetico ad alcune curiosità e
contemporaneamente consentire allo studente una visione non parcellizzata del
fenomeno indagato.}
La tipologia dei modelli documentari proposti costituisce un riferimento per il
docente; la quantità e varietà, indispensabili per una corretta operazione di
ricostruzione storica, possono ovviamente essere ampliate.
La proposta si avvale in gran parte di documenti che provengono dall'Archivio
di Stato di Torino. Nei suoi fondi specifici sono reperibili molti documenti su
fondazioni monastiche che il docente e lo studente potranno eventualmente
consultare.
La scheda di lavoro che accompagna il singolo documento ha carattere
esemplificativo e suggerisce un possibile itinerario di lettura.
La proposta, pur caratterizzandosi come un'attività di storia, sollecita
approcci, riferimenti e collegamenti con altre discipline.
II. LE ORIGINI
"Nel IV secolo, quando Costantino lo sottrae all'ombra
della clandestinità e dall'illegalità, il cristianesimo si afferma
definitivamente come la grande novità religiosa e ideologica dell'Occidente
medievale.Una novità di cui gli imperatori del IV e V secolo si servono per
puntellare la coesione interna dello spazio imperiale mediterraneo, minato da
ricorrenti crisi militari e istituzionali. Ma la divisione dell'Impero in due
parti, una occidentale facente capo a Roma, l'altra orientale facente capo a Costantinopoli,
ha messo in moto un processo inarrestabile di lacerazione dell'antica unità
politica e culturale. E, caduta la parte occidentale dell'Impero, a poco a poco
anche il cristianesimo comincia a dividersi: si formano un cristianesimo latino
in Occidente e un cristianesimo greco in Oriente. [...] A est troviamo un mondo
bizantino fastoso, conservatore delle eredità antiche [...] A ovest sta un
mondo diviso, imbarbarito, mal unificato dalle sue due teste – il papa e
l'imperatore – ma che conoscerà una straordinaria fioritura economica, politica
e culturale, e avvierà un'espansione sempre più vittoriosa: la cristianità
latina. In Occidente, l'Impero romano non sopravvive all'invasione e
all'insediamento dei popoli, soprattutto germanici, nonché alla destrutturazione
di un'economia monetaria a lungo raggio d'azione, alla crisi urbana, alla
ruralizzazione dell'economia e della società, alla pauperizzazione delle masse,
e infine alla crisi di valori e di civiltà che accompagna il declino della
cultura antica e la diffusione del cristianesimo". (Jacques Le Goff, Il Medioevo. Alle origini dell' identità
europea, Ed. Laterza, Bari 2001).
Nel
contesto di generale disordine e violenza che caratterizza il regno di Odoacre,
la venuta degli Ostrogoti e il lungo periodo della guerra greco-gotica il monachesimo appare
come una forza equilibrata e costruttiva. Monachesimo irlandese e monachesimo
benedettino segnano profondamente la società europea diventando punto di
riferimento in un mondo in cui le strutture politiche e sociali si stanno
inesorabilmente deteriorando.
Benedetto da Norcia è l'interprete più alto del monachesimo che ha
come ideale la ricostruzione di una società fondata sull'amore, sulla
solidarietà, sulla preghiera, sull'uguaglianza sociale, sul lavoro.
"Il monachesimo medievale oscillò tra due poli: un polo
penitenziale, che attribuiva una grande importanza al lavoro manuale sia come
forma di penitenza sia come mezzo che permetteva di raggiungere
l'autosufficienza economica, e quindi di evitare i contatti con l'esterno [...]
e un polo liturgico, che privilegiava l'opus Dei, il servizio di Dio, le
funzioni, le preghiere, il lusso delle cerimonie che rendevano omaggio a Dio:
un campo in cui eccelse Cluny.
Tra questi due poli i benedettini seppero per lungo tempo mantenere in
equilibrio i due piatti della bilancia: il lavoro manuale e l'opus Dei,
l'attività economica e il lavoro intellettuale e artistico.
[...] L'organizzazione monastica fornì inoltre dei modelli per la
misurazione e il dominio del tempo. La divisione della giornata in ore
canoniche segnate dai differenti uffici è un esempio di scansione del tempo
offerto alla vita quotidiana; e la comparsa delle campane, che si diffondono
nel VII secolo, farà vivere per secoli la cristianià al ritmo di quello che è
il tempo della Chiesa." (J.Le Goff op.cit.)
Una ricca e
varia bibliografia, spesso caratterizzata da studi ampi e rigorosi, analizza le
comunità religiose dell' Alto Medioevo.
Molti presentano la storia della fondazione dei monasteri considerandola
dall'angolatura del potere politico ed economico, altri ne evidenziano gli
aspetti sociali e culturali, altri ancora attribuiscono all'esigenza di
preghiera e di elevazione spirituale il motivo della loro nascita.
La tradizione mitica delle origini.
S. Pietro di Novalesa
Nel 726 Abbone fonda l'abbazia della Novalesa. La storia del cenobio
vive lo splendore dell'età carolingia, l'invasione saracena, il trasferimento
in Lombardia, la trasformazione, il ritorno.
La sua storia è narrata da un anonimo cronista, monaco dell'abbazia, che nel
1060 circa scrive il componimento noto come Chronicon Novaliciense (Cronaca
dell'Abbazia di S.Pietro di Novalesa).
Si tratta di un rotolo di pergamena, formato da 28 fogli cuciti uno di seguito
all'altro, e comprende 5 libri, parte dei quali è andata irrimediabilmente
perduta. E' conservato nell'A.S.T. L'edizione moderna a cui si fa riferimento
in questa sede è quella curata da G.C.Alessio, Einaudi, 1982.
Il monaco novalicense racconta la storia del suo monastero arricchendola di
particolari fantastici e di aneddoti: la rivisita cioè facendone un racconto
prodigioso ed edificante. La realtà diviene subalterna alla leggenda. "Ma
l'immagine che del cenobio essa ci offre non è (o non è soltanto) il risultato
del gioco fra la traccia più debole del ricordo storico e il lavoro di pura
fantasia. V'è, nell'appello al prestigio del passato il recupero consapevole di
una tradizione in funzione di interessi precisi di propaganda dell'istituzione,
che prende spunto e s'inserisce nel più ampio e intenzionale ricupero e
strumentalizzazione ideologca delle tradizioni carolinge [...] La cronaca si fa
storiografia militante" (G.C.Alessio,
op. cit.)
Sotto le
coloriture vivaci e fantastiche lo studioso vi trova materiali straordinari per
la conoscenza della cultura religiosa, della politica, dell'economia, della
toponomastica, della letteratura, dell'arte, della mentalità.
DOC. 1
Cronaca dell'Abbazia di S. Pietro di Novalesa, 1060 ca.
Rotolo membranaceo, cm. 8,5 (11) x 1170
A.S.T., Corte, Museo storico
Libro
I, Cap. 4
"[...] fra gli altri membri della famiglia di Nerone che avevano
abbracciato la fede cristiana e la legge evangelica v'era una matrona romana
nobile e ricca, parente, anzi, dell'imperatore, di nome Priscilla, la quale,
conoscendo l'intenzione di Cesare, che era di sterminare i Cristiani e di
cancellare dalla faccia della terra la gloria dei Cristiani e il santo nome di
Gesù Cristo, con un onorevole pretesto si ritirò in Piemonte, nella città di
Susa, presso Burro, suo parente e governatore di tutto il Piemonte (e, come si
crede, suo fratello), grande protettore dei Cristiani e cristiano egli stesso.
Partendosi da Roma , ella condusse con sé un folto gruppo di persone
segretamente cristiane, fra cui v'erano due uomini apostolici di nome Elia e
Mileto, che fin dalla Palestina avevano seguito a Roma san Pietro apostolo.
[...] Priscilla e la santa compagnia giunsero a Susa, dove furono i benvenuti e
accolti cortesemente da Burro e dai cittadini di Susa [...] Vi soggiornarono
per qualche tempo, fino a che presero conoscenza del paese: trovarono allora
molto gradevole la valle della Novalesa, subito vicina (e i suoi abitanti
cortesi e benevoli, e d'una bontà spontanea e di piacevole aspetto) e adatta a
ritirarvisi per attendere al servizio di Dio. Elessero dunque la detta valle
per farne loro dimora e, non meno cortesemente che in Susa, furono ricevuti dai
suoi abitanti, che li accolsero nel loro numero come liberi cittadini del
paese, li resero partecipi dei loro fondi e beni e li nutrirono
convenientemente, fornendoli di tutto quanto era necessario per il loro
sostentamento; e poiché erano stati condotti lì dallo Spirito Santo per la
salvezza di quella regione, da genti apostoliche quali erano, che vivevano in
terra col corpo e con lo spirito in cielo, essi si scelsero un luogo remoto
della regione, dalla parte del mezzogiorno, ai piedi di una foresta grande e su
di una costa lontana dal passaggio degli stranieri, dove c'era una torre alta e
possente e senza dubbio delle abitazioni nei dintorni. Tutto questo fu loro
elargito dai Nemaloni (probabili abitanti della zona di Barcellonette,
n.d.traduttore), che di buon grado cedettero senza riserva il luogo e
continuarono a fornire ogni cosa che fosse necessaria per il loro sostentamento.
[...]Quando vennero a sapere della morte (di San Pietro) innalzarono una
chiesa in suo onore e la chiamarono chiesa di San Pietro apostolo, e tutt'oggi
essa ne conserva il nome. Dopo che i santi romani si furono stabiliti là [...]
mutarono il nome degli abitanti del luogo e chiamarono il paese ‘Novalicio' e
gli abitanti ‘Novaliciensi' per indicare il luogo e gli uomini della nuova
legge e della nuova luce".
SCHEDA DI LAVORO
- Perché, secondo te, il cronista
attribuisce la fondazione dell'abbazia a un gruppo di cristiani fuggiti da
Roma?
- A quale momento storico e a
quali avvenimenti si riferisce la frase "l'intenzione di Cesare era
di sterminare i Cristiani..."?
- Perché il cronista insiste
sull'accoglienza degli abitanti di Novalesa?
- La data della fondazione
dell'abbazia, anno 726, viene spostata dal cronista al I secolo. Quale può
essere, a tuo parere, il motivo per cui la data è stata anticipata?
S.Michele della Chiusa
Alla fine del X secolo, presumibilmente tra il 983 e il 987, nasce, dalle
esigenze della cultura del pellegrinaggio, l'abbazia di S. Michele della
Chiusa. La fonda, sul monte Pirchiriano, all'imbocco della Val di Susa, un
aristocratico francese, Ugo di Montboissier.
Di fronte al Pirchiriano, sul monte Caprasio, esisteva all'epoca una piccola
comunità eremitica guidata dal monaco Giovanni Vincenzo. Oscurata dal prestigio
della più potente abbazia, essa scomparve ben presto ma il culto e il ricordo
del santo eremita restò vivo tra le popolazioni della valle. E fu allora che i
monaci di S. Michele assorbirono nella loro tradizione la figura di Giovanni
Vincenzo e inserirono la sua storia nella leggenda della fondazione del
monastero.
Il documento che segue è un disegno, copia di un affresco più antico, oggi
perduto, che si trovava sulle pareti dell'abbazia. Racconta, in sequenza, la
leggenda della fondazione: all'eremita appare in sogno l'arcangelo S. Michele
che lo invita a costruire un monastero. Il santo inizia l'opera, ma durante la
notte angeli e colombe trafugano il materiale e lo trasportano sul monte di
fronte, il Pirchiriano, scelto da Dio come sede della nuova comunità monastica.
DOC. 2
Piano del modo miracoloso col quale è stato costrutto il monastero di S.
Michele della Chiusa
Disegno, fine sec. XVI
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, S. Michele della Chiusa, m.1, fasc. 2
- Il
personaggio sulla sinistra del disegno è il fondatore che esce da Susa
- Nella
parte centrale è raffigurato il vescovo di Torino Amizone. Il fuoco è
riferito a una sua visione e indica la consacrazione divina
- Nella
parte destra è narrata la leggendaria costruzione a opera di Giovanni
Vincenzo
SCHEDA DI LAVORO
Elementi da osservare:
Parte sinistra:
- abbigliamento
di Ugo di Montboissier, della moglie Isengarda, del servo al seguito
- bardatura
dei cavalli
- rappresentazione
della città di Susa
- paesaggio
- cartiglio
che recita:"Montbusseri princeps fundator monasteri Santi Michaeli
(et) uxor eius"
Parte centrale:
- corteo
del vescovo Amizone e dei funzionari che lo accompagnano: abbigliamento,
insegne, caratteristiche dei personaggi
- fuochi
- architettura
dell'abbazia (cf con l'aspetto attuale)
- paesaggio
- angeli
e colombe
Parte destra:
- l'eremita
nella grotta, l'abbigliamento, i simboli
- il
sonno e il sogno
- il
lavoro dell'eremita, gli attrezzi
- l'azione
degli angeli e delle colombe
- la
figura dell'arcangelo S. Michele al centro. Il cartiglio recita: "Locum
nam ilum in sende elegi multis equidem >pro futurum hic habitabo
quoniam elegi ea"
- l'altra
figura di S. Michele con il cartiglio su cui è scritto: "Jovannes
sequere me"
- i
due cartigli nella parte superiore. Quello di destra recita: "Post
modum santi Michael ostedes sante Jovannes montem Pischarearum in quo
ligna eum parata sunt et translata ab angelis et columbe"; quello
di sinistra: "Angeli et columbe a portantes trabes et
dolaturas de cela ad munten Pischarearum"
- il
paesaggio
- gli
edifici
III. I
RAPPORTI DEL MONASTERO CON IL POTERE POLITICO. ATTI DI FONDAZIONE. PROTEZIONE
LAICA
Alla formazione delle comunità monastiche concorsero persone diverse. I
documenti di fondazione consentono di individuare fondazioni vescovili e
fondazioni laiche: queste ultime risultano essere le più diffuse, a opera di
sovrani o di famiglie signorili. E' quest'ultima la tipologia presa in
considerazione nella presente proposta didattica.
"Le famiglie aristocratiche fondavano monasteri per munire di punti di
riferimento concreti ed efficaci il loro controllo territoriale: proteggendo i
monasteri, immettendo in essi propri membri, le grandi famiglie mostravano di
non considerarli affatto luoghi separati dal mondo, ma anzi centri di
organizzazione del consenso. I monasteri erano luoghi importanti per la
religiosità popolare: presentarsi come loro protettori procurava legittimazione
a poteri signorili in cerca di assestamento. Inoltre le famiglie signorili
rimediavano alla dispersione, causata dalla ramificazione, appunto mantenendo
l'identificazione in comunità monastiche: collocare nei monasteri membri di
diversi rami, promuovere in essi occasioni varie di incontro erano
comportamenti correttivi della dispersione, mantenevano una consapevolezza
unitaria in gruppi familiari ampi e frastagliati" (G.
Sergi, L'idea di Medioevo. Fra storia e senso comune, Donzelli
Ed., 2005)
I documenti 3 e 4 costituiscono esempi di fondazioni laiche.
DOC. 3
Abbone, rettore di Moriana e di Susa, nomina Godone abate del monastero dei
S.S. Pietro e Andrea da lui fondato in Novalesa definendone le attribuzioni, 30
gennaio 726
Pergamena, cm. 64 x 51
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche,
Abbazie, S. Pietro di Novalesa, m.1, Museo
Abbone è rector di Moriana e di Susa, ha nella zona
responsabilità pubbliche; è membro di una ricca e importante famiglia franca
legata a Carlo Martello: esponente quindi dell'aristocrazia dominante ed è
questa sua posizione sociale a determinare l'interessamento carolingio per
l'abbazia.
Redatto in forma solenne, l'atto viene sottoscritto oltre che da Abbone da
quattro vescovi, due abati, un arcidiacono e altri chierici.
L'analisi dello studente è indirizzata a una parte del documento
(C.Cipolla, Monumenta Novalicensia vetustiora)
"Abbone, rettore di Maurienne e di Susa [...] avendo edificato nel
territorio susino un monastero dedicato ai santi Pietro e Andrea, ponendovi ad
abbate Godone, col consenso dei vescovi, principi e abati, e dei cleri di
Maurienne e di Susa, concesse al detto monastero che né egli stesso, né i suoi
successori, né persona alcuna dei cleri indicati abbia autorità sul monastero
stesso, salvoché quella di dare, sopra richiesta, le ordinazioni e le
benedizioni ai preti, ai diaconi e agli altari; [...] procedano i monaci della
Novalesa col monastero di'Viceria' nel territorio di Grenoble in guisa, che se,
morto l'abbate di uno dei due monasteri, non vi si trovasse persona degna a
surrogarlo, si trascelga nell'altro monastero; egualmente se un monaco di uno
dei due monasteri commette scandalo, vada nell'altro a far penitenza, com'è pur
detto nel privolegio del monastero di ‘Viceria'; sorgendo discordia in uno dei
due monasteri, l'altro monastero richiami e punisca l'errante..."
SCHEDA DI LAVORO
- Perché
Abbone si preoccupa di esentare i suoi monaci, entro i limiti consentiti,
da ogni autorità laica e religiosa?
- Quali
ritieni fossero i rapporti tra il monastero di Novalesa e quello di
Viceria presso Grenoble?
- Quali
sono i casi, previsti dal documento, in cui si attuano azioni di mutuo
soccorso, collaborazione e amicizia tra i due monasteri?
- Osserva
la cartina:
- Definisci
la posizione geografica dell'abbazia
- La
scelta del luogo per la costruzione da che cosa è stata determinata?
- Leggi
l'analisi che lo storico G.Sergi fa rispetto al rapporto fra potere e vie
di comunicazione: "S.Pietro di Novalesa nacque come piccolo
avamposto religioso e culturale del mondo carolingio proiettato verso il
regno dei Longobardi; espressione soprattutto di una politica di
frontiera, stradale in quanto quella frontiera avanzava sull'asse di un
grande passaggio naturale e di una grande strada romana mai abbandonata e
su cui i monaci novalicensi esercitarono precocemente il commercio e
l'assistenza ai viaggiatori". (G.Sergi, L'aristocrazia
della preghiera. Politica e scelte religiose nel medioevo italiano,
Donzelli, Roma 1994). Spiega il significato di questo testo.
- All'inizio
del sec.IX Ludovico il Pio sottrae ai possedimenti della Novalesa alcuni
terreni e su di essi fonda l'ospizio del Moncenisio per la cura dei
pellegrini. G.Sergi inserisce il fatto in un "sistema" di
assistenza voluto e tutelato dal regno franco. Che cosa significa in
questo caso l'espressione "sistema"?
- Considera
l'estensione del territorio che comprende i possedimenti dell'abbazia al
di là delle Alpi. In che modo, secondo te, l'abbazia di Novalesa poteva
tenere i rapporti con quelle terre?
DOC. 4
Il vescovo di Asti Alrico, suo fratello il marchese Olderico Manfredi e la contessa Berta, moglie del suddetto marchese, fondano il monastero di S.Giusto di Susa e gli donano un terzo dei loro beni nella valle, 9 luglio 1029
Pergamena cm. 75 x 50
- Analizza
i brani del documento e confrontali con il testo iniziale di G.Sergi e il
seguente di C.H.Lawrence. Quali aspetti caratteristici delle fondazioni
private elencate dai due storici vi ritrovi? (sentimento religioso, valore
della preghiera estesa ai vivi e ai defunti, organizzazione del consenso,
legittimazione del potere, coesione del gruppo familiare, controllo dei
possedimenti donati, diritto di eleggere l'abate...)
- Quale
significato hanno i ripetuti riferimenti alla dinastia e la menzione
esplicita degli avi e dei parenti dei fondatori?
- Per
quale motivo i fondatori di S.Giusto eleggono come abate il monaco
Domenico? Quali caratteristiche ne fanno la persona adatta all'incarico?
- Che
cosa può significare il fatto che l'abate ha condotto la vita monastica
fin dall'infanzia?
Privilegi e dotazioni
DOC. 5
Diploma di Carlomanno, re di Francia, di esenzione da ogni diritto di
pedaggio a favore dei monaci di S.Pietro della Novalesa, Ottobre 769
Pergamena, cm. 22 x 63
A.S.T., Corte, Museo storico
- Confronta
la descrizione che il cronista fa dell'Arco di Susa con una sua immagine:
ti sembra veritiera? Questo che cosa può significare?
- Nel
suo testamento Abbone elenca minuziosamente i beni che lascia all'abbazia
di Novalesa. Perché l'autore della cronaca definisce come possedimenti di
Abbone i territori in realtà governati da Cozio?
- Come
spieghi la preoccupazione del cronista di sottolineare la necessità che la
dotazione di Abbone fosse resa nota a molti e in luoghi diversi?
- Abbas
nihil extra praeceptum Domini quod sit debeat aut docere aut constituere
vel iubere,
- sed
iussio eius vel doctrina fermentum divinae iustitiae in discipulorum
mentibus cospargatur,
- memor
semper abbas quia doctrinae suae vel discipulorum oboedientiae,
ultrarumque rerum, in tremendo iudicio Dei facienda erit discussio
VI –De taciturnitate
6.
Nam loqui et docere magistrum condecet, tacere et audire discipulum convenit
7.
Et ideo, si qua requirenda sunt a priore, cum omni humilitate et subiectione
reverentiae
requirantur.
SCHEDA DI LAVORO
(...) Il primo
preposto venga dopo l'abate nel monastero, dentro e fuori, e queste
siano le cose su cui principalmente abbia potere e cioè tutto quanto riguarda
i lavori dei campi, delle vigne e degli edifici, sui vasari, pastori e tutti
gli altri monasteri esistenti in questa valle, ad eccezione di quelli che sono
attribuiti alle competenze di altri frati, sia tutte le corti (...) che
riguardano il compenso, cavalli domiti e selvaggi, ed egli attribuisca le
mansioni nel monastero, secondo la necessità.
Il decano abbia
soprattutto cura, dentro e fuori, della conversazione dei frati e sia
quotidianamente in obbedienza con loro e, nel caso manchi l'abate o il
preposto, tutto sia di sua competenza.
Il custode della
chiesa provveda ai lumi e ad ogni ornamento della stessa, abbia
competenza sugli orari e riceva le elemosine giunte ai frati.
Il bibliotecario abbia
cura di tutti i libri, letture liturgiche e altri scritti.
Il custode delle carte abbia
cura di tutte le testimonianze scritte dei diritti del monastero.
Il cellerario provveda
a tutto ciò che riguarda il cibo e le bevande dopo che siano state portate nel
monastero, ad eccezione del pane e della frutta e li distribuisca; a lui
faccia riferimento tutto ciò che avviene nel refettorio e nella cucina.
Il cellerario della
famiglia provveda alle bevande dei sottoposti al preposto.
Il cellerario giuniore si
occupi del refettorio e delle stoviglie.
Il custode del pane provveda
alla quantità di grano dopo che esso sia giunto al monastero, ai pani e ai
mugnai.
Il portiere riceva
per primo tutti gli ospiti e li annunci, riceva le decime di tutto e di esse,
secondo quanto stabilito, destini la quantità per l'ospedale dei poveri.....
Gli ospitalieri dei
religiosi ricevano coloro che debbono venire in refettorio e ricevano
ugualmente coloro che risiedono nell'ospedale.
L'ospitaliero dei poveri li riceva e si prenda cura di loro e
riceva per loro i soldi dal portiere.
Il custode degli
infermi provveda a loro con i suoi aiutanti.
Il cantore abbia
cura di tutto ciò che attiene al canto.
Il primo cameriere si
occupi di tutti i vestiti e dei panni per i diversi usi dei frati e delle
scarpe e dei guanti e si occupi dei confezionatori di scarpe e vestiti e dei
conciatori di pelli e dei calderai, ripartisca il loro lavoro e gli spazi
assegnati alle attività e nei riguardi di questi le cose dette sono da esigere,
(si occupi) di tutti i vasi di bronzo (o di rame) che sono stati dati in uso ai
frati.
Il cameriere
dell'abate abbia cura di tutti i fabbri, fabbricatori di scudi, di
selle, gli addetti ai tomi, i fabbricanti di pergamene, forgiatori, e provveda
a tutti gli arnesi.
Il preposto giuniore sopraintenda
a tutti i lavori e a tutti gli operai, meno quelli che sono destinati a lavorazioni
differenti.
Il maestro carpentiere si
prenda cura di tutti i maestri di legno e di pietra, ad eccezione di quelli
deputati ad altre lavorazioni cioè quelli che fanno botti e barili, scrigni e
mulini, case e mura.
Il custode delle viti provveda
alle vigne.
L'ortolano si prenda cura degli orti.
Archivio di Stato di Torino
Corte, Materie Ecclesiastiche,
Abbazie, San Colombano di Bobbio, cat. l a - mazzo l.
Traduzione
... A proposito dei nuclei
dipendenti esterni al monastero
A Genova la Chiesa in onore di S.
Pietro può raccogliere per ogni anno lO moggi di castagne, 8 anfore vino in
tempo propizio, 40 libbre di olio, vengono comprate annualmente per l'uso dei
frati, 100 catene di fil 200 cedri, 4 moggi di sale, 2 congi di gara (salsa di
pesce), 100 libbre di pece; ha 6 massari che curano la vi: e portano al
monastero il censo di cui si è detto.
In Comorga e Scaona la
"cella" del monastero, in onore di S. Giorgio, può seminare per ogni
anno 30 ma) avere 15 anfore di vino in tempo propizio, 12 carri di fieno, 20
moggi di castagne, 20 libbre di olio. Sono lì massari che fanno a dovere ciò
che è stato loro comandato e dieci di loro pagano l soldo, 9 polli e delle uc
Uno invece porta un maggio di castagne, 12 congi di vino; i livellari sono 8,
portano 2 anfore di vino, l moggio di grano, 27 denari. Ci sono nel medesimo
tempo 26livellari e massari, portano 18 anfore e mezza di vino I allo stesso
modo che con)a casa rustica con l'orto (...) 3 soldi, 9 polli e uova.
Congio: misura romana per i liquidi,
equivalente a litri 3,283.
Libellarius: tardo latino. Il livellario è il
soggetto in cui favore viene disposta la concessione della terra nel contratto
di livello.
Livello: contratto
agrario, diffuso nel Medioevo, per il quale una terra veniva concessa in
godimento per un certo periodo di tempo a determinare condizioni (dal
latino lihf'llus, libretto-contratto).
SCHEDA DI LAVORO
- Quali
sono le persone che vivono e lavorano nell'abbazia?
- Quali
mansioni svolgono? Indicale rispetto a: agricoltura, allevamento,
pastorizia, artigianato
- Ci
sono lavori eseguiti da persone estranee al monastero? Quali?
- Prova
a costruire uno schema gerarchico che consideri i vari monaci, la
tipologia di mansioni loro affidate, i rapporti
- Metti
in relazione le mansioni dei monaci, così come le hai rilevate nello
Statuto dell'Abate Wala, con le diverse tipologie di locali indicati nella
piantina del Doc. 9.
Il monastero e l'assistenza: un servizio alla
società
Tra le mansioni che l'abate Wala affida ai suoi monaci c'è quella
dell'assistenza agli infermi e ai pellegrini. Si tratta di una funzione che i
monasteri medievali svolsero con grande impegno e che è ufficializzata in
regolamenti, statuti, lettere, atti di fondazione.
Molti furono gli ospizi e gli ospedali retti da monaci, posti lungo le strade
percorse da mercanti e pellegrini, con lo scopo di fornire assistenza ai viaggiatori
e ai poveri della zona.
E' questa, ad esempio, la funzione dell'ospizio del Moncenisio che l'imperatore
Lotario istituì nell'anno 825 "ad peregrinorum receptionem" e
la cui dotazione è fatta per far fronte all'affluenza dei poveri "Pauperum
Christi concursus tolerari".
Situati in punti strategici ( la domus del Moncenisio, ad
esempio, era collocata nel punto in cui il transito per il valico presentava
maggiori difficoltà ) gli ospizi erano spesso oggetto di una competizione di
poteri. La vera peculiarità dell'ospizio del Moncenisio, nota G.Sergi, è "il
controllo del passo. I potenti, in conflitto tra loro, aspiravano alla
protezione dell'ente e l'ospedale si assicurava uno sviluppo vigoroso,
aggiungendo alle donazioni dei pellegrini riconoscenti le ricche concessioni
dei locali detentori del potere, laici ed ecclesiastici, che miravano a
rinsaldare il legame con la fondazione". (G.Sergi, L'aristocrazia
della preghiera, op. cit.)
Nel VI secolo Cassiodoro fonda a Vivarium, sul golfo di Squillace, un monastero.
Nell'opera De institutione divinarum litterarum egli propone
ai monaci lo studio degli scrittori classici per una maggiore comprensione
delle Scritture.
Il brano che segue mette in evidenza un'altra funzione fondamentale del suo
monastero: quella dell'assistenza agli infermi.
- A
quale funzione del monastero si riferisce la frase "a coloro che
si rifugiano nel santuario?"
- L'abate
invita i monaci a servire i malati "come conviene alla
perizia della vostra professione": che cosa indica, secondo te,
il termine professione?
- Negli
Statuti dell'Abate Wala sono previsti monaci con competenze analoghe? Qual
è il loro nome?
- Quali
sono le funzioni che assolve il monastero di Vivarium?
- Le
informazioni contenute nel documento ti danno indicazioni sulla
farmacologia e sulle cure mediche praticate nel Medioevo?
- Perché
ai monaci è raccomandato l'uso del trattato sulle erbe?
- Chi
erano gli autori dei testi di medicina a cui fa riferimento Cassiodoro?
Perché ne consiglia la lettura in latino?
- Alla
presenza di quali persone si discute la cusa intentata al monastero? Qual
è il loro ruolo?
- La
presenza di giudici funzionari dell'amministrazione franca (scavini) e
di capi militari che il duca longobardo nominava come giudici nei
processi (sculdasci) a quale situazione politica italiana
si riferisce?
- Per
quale motivo, secondo te, i contendenti non vedono accolte le loro
richieste?
- I
legati dell'imperatore giungono in Italia " per discutere le
cause di quegli uomini e di altri": a che cosa ti fa pensare la
precisazione "di altri" ?
Il rotolo appartiene alla tipologia dei
rotoli mortuari usati per comunicare la morte di un abate o di un confratello
ai membri di altre comunità.
Consisteva in un numero variabile di schedule di pergamena, unite tra di loro
in modo da formare una striscia lunga anche 20-30 metri. L'intera striscia era
fissata a una struttura di legno in modo da poter essere appesa al collo del
monaco portatore (rollifero o rolligero). Nella prima schedula
chiamata enciclica si comunicava il decesso; a volte essa era
decorata con motivi ornamentali o con l‘immagine del defunto. L'enciclica poteva
essere redatta in semplici termini di una comunicazione con la richiesta di
preghiere o contenere anche l'elogio funebre.
Il rollifero visitava quindi le comunità religiose e su
ciascuna schedula la comunità visitata scriveva la sua partecipazione al lutto:
ognuna di esse era designata come titulus e recava la
denominazione dell'ente religioso che l'aveva redatta. Le forme più semplici
dei tituli potevano arricchirsi di frasi elogiative e di brevi
componimenti poetici, la cui compilazione era affidata al cantor o
ai poeti della comunità.
E' indiscutibile l'alto valore che il rotolo mortuario assume come fonte
storica: offre ad esempio notizie sui vari tipi di scrittura, sui loro
mutamenti, sugli scriptoria che li hanno prodotti, sulle intitolazioni dei
monasteri, sui monaci che li abitavano, sui loro nomi, sulla cultura e sulla
mentalità dell'epoca, sulle vie di comunicazione, sulla consistenza
patrimoniale dei monasteri...
Il rotolo di Bosone consta di 16 schedule di pergamena, di lunghezza non costante.
L'edizione critica dei due tituli scelti è a cura di M.Paola
Niccoli.
- Chi
sono le persone per le quali i monaci dell'abbazia chiedono preghiere? Tra
queste ci sono dei defunti?
- Considera
i nomi elencati. Oggi vengono ancora usati?
- Come
giudichi il latino in cui il titulo è stato scritto? Che
cosa è successo alla lingua latina per cui nel 1129 essa si presenta in
questa forma?
- Quale
impegno liturgico si assume questo monastero per commemorare l'abate
Bosone?
- Che
cosa caratterizza questo titulo rispetto al precedente?
(in La Novalesa. Ricerche – Fonti documentarie –
Restauri, Comunità Benedettina dei S.S. Pietro e Andrea. Atti del
Convegno-Dibattito 10-11-12 luglio 1981. Il rotolo funerario di Bosone
abate di San Giusto di Susa, a cura dell'Archivio di Stato di Torino)
SCHEDA DI LAVORO
- Confronta
il disegno con una carta stradale odierna.
- Quanti
Km avrà percorso il rollifero?
- Quante
cattedrali ha visitato? Quante abbazie? Quanti ospedali? Quante certose?
- Il
numero di comunità incontrate, l'estensione del territorio visitato, la
lunghezza del percorso che cosa ti dimostrano?
V. L'AMMINISTRAZIONE
Formazione della grande proprietà religiosa
La proprietà dei monasteri e degli altri grandi enti religiosi si costituì,
come già si è accennato, con le numerose dotazioni di re e privati. Alla base
del fenomeno stavano principalmente ragioni di ordine spirituale; se poi i
donatori erano piccoli o medi proprietari la donazione era dettata dal bisogno
di garantirsi una maggiore sicurezza personale in un'epoca in cui il potere politico
era carente o addirittura assente e in cui vigeva la legge del più forte, sia
dal punto di vista politico che da quello economico. Privi della protezione
dello Stato i deboli si affidavano al potente con l'atto dell'accommendatio:
in cambio di protezione gli donavano la propria terra con la possibilità di
coltivarla come affittuari, dietro pagamento di un canone. In questo modo il
potente diventava proprietario di un numero sempre più grande di terreni. Il
fatto che molti si accommendassero al monastero o a un altro ente religioso era
dovuto alla fama e alla rispettabilità di cui essi godevano; inoltre il
trattamento ricevuto dai lavoraori era in genere più umano e giusto, migliore
di quello che era solito offrire il protettore laico.
La curtis
I grandi possedimenti terrieri dell'Alto Medioevo furono quasi tutti
organizzati in curtes. Esse derivavano dalle antiche villae romane
ed erano caratterizzate dal principio di una conduzione mista delle terre: una
diretta, la pars dominica o dominicum, di cui si
occupava il proprietario, l'altra indiretta, la pars massaricia o massaricium,
frazionata e affidata alla coltivazione dei coloni. Il lavoro nella pars
dominica era svolto quasi esclusivamente dai servi e raramente si
faceva ricorso a personale salariato.
I coloni della pars massaricia pagavano un affitto, spesso
vitalizio o ereditario, con prodotti coltivati o con denaro o con entrambi e
fornivano un certo numero di giornate di lavoro nel dominicum, le corvées:
queste risultavano pertanto una forma di pagamento d'affitto dei contadini. Il
cosidetto sistema curtense si fondava su un esiguo impiego di uomini e
attrezzature nella gestione del dominicum, impiego che veniva
integrato con il lavoro dei coloni del massaricium.
La struttura della curtis cambiò con la pratica dell'accommendatio che
vide i piccoli proprietari terrieri affidare le loro terre alla protezione di
un grande signore, mantenendone però il diritto d‘uso. In questo modo il massaricium si
ampliò a scapito del dominicum.
Il lavoro agricolo, che inizialmente comprendeva la manodopera servile
nel dominicum e quella ingenuale (libera)
nel massaricium, fu affidato via via oltre che a coloni liberi a
servi domestici, che erano alle strette dipendenze del padrone da cui
ricevevano vitto e alloggio, e servi casati, paragonabili ai coloni liberi, a
cui il proprietario affidava quote di massaricium.
Contratti agrari medievali
A coloro che, pur rimanendo liberi, si affidavano al monastero come
accomendati, il fondo veniva assegnato con un contratto di livello.
Il termine deriva dal latino libellus, il libretto che conteneva da
una parte la richiesta del postulante e dall'altra l'assenso del concedente.
Nel contratto era stabilito l'obbligo di pagare al monastero un canone annuale,
parte in prodotti del terreno coltivato e parte in denaro.
Quando si trattava di terreni aridi o paludosi o boschivi i monasteri usavano
la forma dell'enfiteusi romana. Dietro il pagameno annuale di una
piccola somma l'uso del terreno veniva concesso per un tempo molto lungo (ad
tertiam generationem) e il contadino s'impegnava ad apportare miglioramenti
al fondo avuto in uso. Con il tempo gli enfiteuti tendevano a diventare padroni
delle terre faticosamente bonificate e rese produttive.
Esistevano poi tipi di contratto a partecipazione: il contadino
poteva usufruire della 1/2 o di 1/3 o di 1/4 dei prodotti coltivati, a seconda
del valore dei terreni e delle relazioni con il monastero.
I beni del monastero
Nella Regola S.Benedetto disciplinò anche l'attività economica dei numerosi
conventi.
"Per il rapido moltiplicarsi delle donazioni la proprietà dei monasteri
benedettini assunse presto proporzioni grandiose: di essi, dopo il VII secolo,
abbiamo numerosi e cospicui esempi in Italia (oltre a Montecassino e Subiaco,
sono famosi quelli di Farfa, Bobbio, Nonantola, Santa Giulia di Brescia,
Novalesa, Cava dei Tirreni, San Vincenzo al Volturno), come in Francia,
Svizzera, Germania, Inghilterra, Irlanda. In ciascuno di essi il monastero
principale o i conventi minori, sparsi in tutte le regioni dov'è distribuita la
proprietà, costituiscono il centro economico-amministrativo al quale è preposto
l'abate coi suoi monaci, alcuni dei quali sono designati a sopraintendere ai
lavori domestici e rurali. Come la villa romana, il monastero ha i suoi granai,
i magazzini, le cantine in cui si conservano i prodotti dell'economia diretta o
le quote prestate dai poderi tributari; le sue stalle, i suoi piccoli opifici
artigianali, dove i monaci stessi e un certo numero di servi producono gran parte
degli oggetti che possono essere necessari alla vita quotidiana del monastero e
della popolazione dipendente, raggiungendo così quel minimo grado di
autosufficienza economica, che in un periodo di carenza dello Stato e di
decadenza della città, era indispensabile per la vita dei monasteri
stessi." ( G. Luzzatto, Breve storia economica
dell'Italia medievale, Einaudi 1958).
I maggiori monasteri, come tutti i grandi proprietari terrieri, si assicuravano
i prodotti di cui non avevano disponibilità nel loro nucleo centrale
acquistando proprietà in regioni diverse: come riferisce G. Luzzatto nell'opera
citata, le proprietà ecclesiastiche della Val Padana possedevano tutte, ad
esempio, un uliveto sui laghi e una salina nella laguna di Comacchio. Alcuni
monasteri, inoltre, possedevano numerose cellae esterne in cui
era custodita parte dei raccolti: esse servivano sia come magazzini per il
vettovagliamento della comunità sia per il commercio con altre proprietà.
Sarebbe errato giudicare con un metro moralistico certe manifestazioni di
ricchezza del monastero medievale: il possesso di molti beni voleva dire essere
stati all'altezza del compito e avere raggiunto una superiore disciplina
spirituale; voleva dire "esibire una patente di religiosità e di
integrità: così i fedeli sapevano di elargire donazioni o di fare testamenti in
favore di monaci le cui preghiere erano particolarmente ascoltate, e la
ricchezza s'incrementava ulteriormente". (G. Sergi, L'idea
di Medioevo, op.cit.)
I diplomi con cui i sovrani concedono ai monasteri immunità, esenzioni dai
pedaggi, facilitazioni al commercio e i documenti che riferiscono le donazioni
di privati e di sovrani sono fonti a cui attingere informazioni sulle proprietà
dei monasteri
Un'altra tipologia di documenti, gli inventari, offrono dettagliati rendiconti
di prodotti coltivati, animali allevati, contadini impegnati nei vari lavori,
tasse da loro pagate e offrono elementi per leggere la struttura di una curtis.
I documenti che attestano beni e organizzazione degli enti religiosi sono molto
più numerosi di quelli riferibili alla grande proprietà laica. Ciò è dovuto al
fatto che gli archivi ecclesiastici, e in questo caso quelli monastici, si
offrono allo studioso molto più ordinati e ricchi di quelli laici: nel
monastero, infatti, si praticavano la lettura e la scrittura che consentiva la
redazione dei documenti relativi ai possessi e all'attività economica.
Presso l'A.S.T. esistono diversi inventari riferiti ai beni dell'abbazia di
S.Colombano di Bobbio. L'eccezionalità di due di loro è rappresentata dal fatto
che essi sono stati elaborati a distanza di 20 anni uno dall'altro (862-883):
attraverso il loro confronto è quindi possibile osservare la struttura di
una curtis in evoluzione e di rilevare, ad esempio, le scelte
adottate per ottimizzare la produzione come la lottizzazione dei terreni, la
coltivazione intensiva, l'assunzione di nuovi massari e livellari con il
conseguente aumento dei canoni e il potenziamento della produzione...
Il documento seguente si riferisce al primo dei suddetti inventari.
DOC. 14
Inventario dei beni, terre e redditi spettanti al monastero di San Colombano
di Bobbio, 862
A.S.T., Corte, Materie Ecclesiastiche, Abbazie, San Colombano di Bobbio, cat.
1^, m.1
SCHEDA DI LAVORO
- Nel
documento sono citati "nuclei dipendenti esterni al
monastero":dove si trovano?
- Che
cosa significa dipendenti ed esterni al
monastero? Il rapporto di dipendenza a che cosa si riferisce?
- Elenca
i prodotti di cui il documento dà notizia, suddividendoli in agricoli e non.
- Quali
notizie di tipo geografico puoi ricavare sul territorio a cui appartengono
i due nuclei esterni?
- In
che cosa consiste il pagamento dei massari e dei livellari? Perché è
misto?
DOC. 15
Inventario dei beni dell'abbazia di Saint Germain, inizio IX sec.
(In R. Boutrouche, Signoria e feudalesimo, Il Mulino,
Bologna 1971)
Lo stralcio qui riportato si riferisce a una delle aziende dipendenti
dall'abbazia.
" [...] Walafredo colono e major e sua moglie, colona,
uomini di San Germano, hanno con sé due figli. Il capofamiglia tiene due mansi
ingenuili, per sette bunuaria di terra arabile, sei arpenti di
vigna, quattro arpenti di prato. Paga per ogni manso un bue all'anno, l'anno
seguente un porco adulto, quattro denari per il diritto d'uso del bosco,
due moggi di vino per il pascolo, una pecora con un agnello.
Egli ara quattro pertiche per il grano invernale e due pertiche per il grano
primaverile, fa corvées, trasporti, lavori manuali e taglio di legno per quanto
gli si comanda; deve tre polli e quindici uova.
[...] Leonardo, lito di San Germano, tiene un quarto di
manso per due bunuaria di terra arabile e mezzo arpento di vigna. Coltiva nella
villa [signorile] quattro arpenti; paga per il pascolo un moggio di vino,
uno staio di senape nera, un pollo, cinque uova.
manso ingenuile: terreno lavorato da uomo libero
bunuaria: misura di superficie corrispondente a circa 1/8 di ettaro
arpento: misura di superficie variabile da 3600 mq. a 2563 a seconda
delle regioni
pertica: misura di lunghezza equivalente a 10 piedi, quindi a m. 2,96
moggio: misura di capacità per granaglie e simili, di valore diverso a
seconda delle regioni
lito: colono appartenente a una categoria intermedia tra quella dei
liberi e quella dei servi
staio: misura di capacità variabile da 24 a 36 litri
SCHEDA DI LAVORO
- Quali
notizie ti fornisce il documento sull'uso della terra e sui coloni?
- Quali
indicazioni offre sulle misure agrarie dell'epoca?
- I
prodotti pagati all'abate a quale tipo di coltivazione e di allevamento si
riferiscono?
- Oltre
al lavoro agricolo quali servizi devono prestare i coloni di questa
azienda?
- Confronta
il presente documento con quello precedente. Quali notizie caratterizzano
l'uno e l'altro?
VI. LA
CULTURA
I monasteri
benedettini non furono solo centri di vita e di rinascita economica, ma anche
poli di vivace vita culturale. Spetta ad alcune personalità del Medioevo il
merito di aver salvato l'essenziale della cultura antica, di averla
riunita "sotto una forma che si prestasse ad essere assimilata
dalle menti medievali e che avesse la necessaria veste cristiana" (
J. Le Goff, La civiltà dell'Occidente medievale, Einaudi, To 1964).
Lo storico francese cita a questo riguardo Boezio, Cassiodoro, Isidoro di
Siviglia, Beda: uomini di elevata cultura che hanno influenzato fortemente il
sapere della loro epoca e a cui sono debitori i secoli successivi.
Dominio e territorio della cultura fu, nell'età carolingia, la Chiesa e gli
intellettuali crebbero nelle scholae. La scuola, di qualunque
tipo si trattasse, era nel monastero, nella cattedrale, nel convento; anche
fisicamente essa era inclusa in quegli edifici.
La Regola benedettina dava disposizioni per la presenza di bambini oblati,
cioè donati al monastero dai genitori. Questi bambini, futuri monaci, venivano
istruiti nella comunità che normalmente non accettava però studenti
esterni.
Dal IX all' XI secolo fiorirono le scuole
monastiche. "La scuola monastica, i suoi uomini, i suoi impianti,
la sua biblioteca, i suoi ritmi, i suoi ideali: la terra e la Bibbia, questi
sono stati i grandi ma in definitiva gli unici veri poli del mondo che ha visto
il monaco pressoché unico protagonista della vita intellettuale. Dopo sarà alle
scuole cattedrali, alle scuole canonicali e di liberi chierici che dovremo
guardare come a sedi della cultura e della filosofia, in un mondo fatto di
vescovi e non di abati,di chierici e non di monaci, di città e non più solo di
domini terrieri" (F. Alessio, Filosofia e società,
Zanichelli, Bologna 1985).
Le invasioni barbariche e la dominazione longobarda avevano inferto un duro
colpo ai valori della classicità che erano stati mantenuti in vita attraverso i
commenti di Boezio e Cassiodoro. Dopo di loro fu la Chiesa ad assicurarne la
continuità. Come al tramonto dell'Impero i contadini in balìa di prepotenze e violenze
si rifugiavano nelle chiese e nei monasteri in cerca di protezione, così
successe alla cultura: i luoghi sacri diventarono spazi di vita per le lettere
e le arti. E' un fenomeno generale, che si riscontra in tutti i monasteri
dell'epoca, incoraggiati il più delle volte nella loro opera culturale da
sovrani e signori. I re anglosassoni sostennero vescovi e abati nella creazione
di nuove scuole; a San Gallo docenti illustri insegnarono grammatica, retorica,
aritmetica e musica; con Abone, abate del monastero francese di
Fleury-sur-Loire, nell' XI secolo ebbero grande impulso gli studi scientifici e
matematici.
L'età di Carlo Magno
Con Carlo Magno la cultura diventò un obiettivo fortemente sentito e
perseguito, esigenza fondamentale di fronte al crescere dei bisogni della più
vasta e complessa organizzazione dello Stato che necessitava di buoni
funzionari e capaci amministratori. Nello stesso tempo il sovrano si propose di
rieducare un clero divenuto semianalfabeta e di fornire ai suoi sudditi nozioni
religiose elementari.
L'età di Carlo Magno fa del monaco colui che è anche maestro di sapere profano.
E' un aspetto nuovo, ardito e difficile che creerà dubbi e problemi. Affidando
ai monasteri, oltre al compito di tesorizzare il sapere anche quello di insegnare,
il mondo carolingio fa coincidere la geografia culturale con quella del potere.
Dal monastero, il luogo dove non è mai venuto meno l'uso del leggere e dello
scrivere, quello dove si conservano e si copiano i libri, Carlo trae i
letterati che alla sua corte insegnano ai giovani provenienti dalle grandi
famiglie dell'impero, destinati a far carriera nell'amministrazione pubblica o
nella chiesa.
DOC. 16
Monumenta Germaniae Historica, Epistulae Beati Karoli
( In Saitta, Il cammino umano, La Nuova Italia, Firenze
1962)
"Carlo per grazia di Dio re dei Franchi e dei Longobardi e patrizio dei
Romani, all'abate Bangulfo e a tutta la congrega ed anche ai fedeli a te
affidati [...] noi abbiamo ritenuto essere utile che i vescovadi e i monasteri,
a noi affidati col favore di Cristo, oltre alle occupazioni ordinarie e alle
conversazioni della santa religione, debbano anche intraprendere lo studio
delle lettere [...]I sacerdoti facciano scuola di lettura. Per tutti i
monasteri s'insegnino i salmi, le note, il canto, il computo e la
grammatica".
SCHEDA DI LAVORO
- Di
quale compito particolare si sente investito Carlo Magno?
- A
che cosa è dovuto l'invito ai religiosi di intraprendere lo studio delle
lettere?
- Per
quale motivo il re affida l'istruzione ai religiosi chiedendo loro di
fondare delle scuole?
- Salmi,
note, canto, computo, grammatica: chi erano i destinatari di questi
insegnamenti?
- Da
questa lettera quale risulta essere il progetto culturale di Carlo Magno?
DOC. 17
Rodolfo il Glabro, Vita dell'abate Guglielmo, Libro VI
Nota
Nell'anno 1001 il grande abate cluniacense Guglielmo da Volpiano viene
sollecitato dal duca di Normandia Riccardo II a introdurre la regola monastica
nel territorio di Fécamp.
"Guglielmo, uomo di Dio, vi radunò un gruppo di monaci che vivevano
secondo la regola benedettina, composto da molte personalità capaci di operare
il bene. [...] Vedendo l'attento abate che non solo in quel luogo, ma anche in
tutta la regione e in tutta la Gallia, presso il popolo era venuta meno ed era
scomparsa la capacità di salmodiare e di leggere, fondò per i chierici scuole
per apprendere il servizio divino, a cui dovevano dedicarsi assiduamente
fratelli preparati a questo compito, e nelle quali si elargisse gratuitamente
il bene della sapienza a tutti coloro che affluivano ai cenobi che gli erano
stati affidati. Nessuno che vi volesse accedere doveva venirne escluso, anzi,
sia ai servi che ai liberi, ai ricchi come ai poveri si doveva offrire la
stessa testimonianza di carità. Molti dei frequentanti, poiché erano poveri,
ricevevano il vitto dai cenobi. Fra di loro alcuni presero l'abito della santa
regola dei monaci. Infine l'attività di queste scuole portò a molte chiese
grandi vantaggi".
SCHEDA DI LAVORO
- Confronta
i documenti 16 e 17. Quali elementi hanno in comune?
- A
quale tipo di scuola fa riferimento Rodolfo il Glabro? Quali sono le
qualità che la caratterizzano?
- A chi
viene affidato il compito di istruire?
- Perché
l'incremento dell'istruzione porta " a molte chiese grandi
vantaggi" ? Quali sono secondo te?
Libri e biblioteche
L'importanza della lettura nella vita del monaco era sottolineata dalla
quantità di tempo che la Regola le riservava.
Durante i pasti, serviti e consumati in silenzio, un lettore leggeva alla
comunità da un leggio o dal pulpito. Per la lettura privata venivano
annualmente distribuiti dei libri: nell'abbazia di Farfa è conservata una lista
di 63 libri consegnati ai monaci per la lettura quaresimale.
Il repertorio comprendeva soprattutto opere di devozione, di teologia ascetica,
vite dei Santi, commenti dei Padri alle Sacre Scritture e anche un'importante
selezione di autori storici: Flavio Giuseppe, Beda, Tito Livio. La lettura e lo
studio della storia erano considerati un mezzo per scoprire l'invisibile opera
di Dio nelle vicende umane del passato. Presumibilmente una parte dei libri che
formavano una biblioteca benedettina erano frutto di donazioni: nei cataloghi
delle biblioteche monastiche molto spesso si trovano elencati con i libri anche
i nomi dei donatori. Una parte consistente, poi, era fornita dallo scriptorium del
monastero stesso. Qui dei monaci amanuensi erano impegnati a
copiare testi o a comporre libri propri. La produzione comprendeva Bibbie,
Salteri, Libri d'ore per la preghiera privata, Messali, Antifonari, Graduali,
Lezionari per uso liturgico, Tropari (libri di canti), Vite di Santi, Bestiari,
Erbari, libri di testo per studenti, trattati di grammatica, matematica,
astronomia, Cronache...
Nel Libro IV della Cronaca di Novalesa (v. Doc. 18) si ha notizia della lettera
scritta da Floro, arcidiacono di Lione, esegeta e teologo di chiara fama,
all'abate Eldrado che l'aveva pregato di rivedere una copia del Salterio usato
nell'abbazia. La risposta di Floro documenta il programma carolingio di
espansione culturale: tra i vari provvedimenti di Carlo Magno uno riguardava
infatti la correzione dei libri dell'Antico e del Nuovo Testamento sfigurati
dall'imperizia dei copisti. La richiesta fatta da Eldrado a Floro rappresenta
il contributo dato dall'abbazia a tale programma. L'attenzione riservata
dall'abate all'opera di correzione è spiegata dal fatto che il Salterio non era
solo il manuale di preghiera per eccellenza, la cui lettura era prescritta in
ogni monastero benedettino, ma costituiva anche il libro su cui nelle scuole si
faceva esercizio di lettura.
DOC. 18
"Da
molto tempo la paternità vostra ha voluto ingiungere alla mia umile persona di
correggere il Salterio secondo la norma della verità: il che, nella misura
delle mie forze, mi sono adoperato a compiere. Ma, in verità, confesso alla
vostra amabile grazia che mi è riuscita molto molesta e pesante l'incerta e
gravemente scorretta variabilità dei molti codici che, originatasi dall'incuria
di scribi sonnacchiosi, si alimenta e diffonde con la quotidiana pigrizia degli
ignoranti. Io quindi, al fine di eseguire con la maggior diligenza il compito
assegnatomi, mi applicai al confronto reciproco della traduzione ebraica fatta
dal sacro interprete * e di quella dei Settanta **, per indagare con cura,
fondandomi su ambedue, che cosa ci fosse in più o in meno nei nostri codici
[...] E poiché so che la santità vostra vuol far scrivere un nuovo codice di
Salmi, esorto caldamente affinché vogliate mantenere tutte queste correzioni
con cura grandissima e attenzione, poniate i segni di pausa dovunque da noi
sono stati lasciati o aggiunti, li togliate invece dove li abbiamo erasi,
anteponiate i numeri dei Salmi ai titoli che ciascuno ha e ne scriviate alcuni
prima di ‹‹alleluia›› , altri dopo, altri ancora fra due ‹‹alleluia››, così
come da noi è stato corretto. V'è in ogni segno una ragione vera ed utile , che
produce gran giovamento pei lettori attenti [...]
Nel volume che state per scrivere le linee si traccino ben distanziate,
vengano lasciati chiari ed abbondanti spazi in modo che i nomi delle lettere
che bisogna aggiungere fuori testo appaiano ben leggibili e distinte e le brevi
frasi di annotazione vengano collocate con diligenza ai posti loro, cosicché
quel nuovo libro per la sua correttezza, bellezza ed utilità impegni il copista
ed ammaestri il lettore, informi gli animi e diletti la vista".
* sacro interprete: S. Gerolamo, autore di una versione
dall'ebraico della Bibbia
** Settanta: la più antica versione greca dell' Antico
Testamento
SCHEDA DI LAVORO
- Perché
l'abate Eldrado si rivolge a Floro di Lione?
- Per
quale motivo sceglie un esperto che risiede in una città così lontana da
Novalesa?
- Perché
Eldrado ritiene che nel Salterio usato nella sua abbazia vi siano degli
errori? A che cosa possono essere dovuti?
- Qual
è il giudizio di Floro su alcuni copisti e sul loro lavoro?
- Perché
Floro si dilunga in minuziose raccomandazioni circa la redazione di un
nuovo Salterio? Qual è lo scopo di tanta diligenza?
- Dal
tono della lettera quale ritieni sia stato il rapporto tra Eldrado e
Floro?
Lo scriptorium forniva anche importanti
servizi al mondo esterno. I primi sovrani di Francia e d'Inghilterra che non
disponevno di una efficiente cancelleria in proprio si servivano degli scriptoria delle
abbazie per scrivere lettere e redigere documenti. Inoltre i monasteri
riproducevno libri su ordinazione per studiosi e protettori e alcuni di essi
erano apprezzati per l'alta qualità della calligrafia e per la bellezza
delle miniature che ornavano i manoscritti. Questo lavoro
costituiva una importante fonte di reddito per il monastero; il committente del
libro pagava il lavoro e molto spesso forniva anche la pergamena necessaria.
Il monopolio dei monasteri sulla produzione libraria durò fino al XII secolo,
quando nacquero le copisterie universitarie. Con il passare del tempo l'aumento
della richiesta costrinse l'abate ad affiancare ai monaci copisti degli
scrivani professionisti, che venivano retribuiti con il denaro proveniente
dalle casse del monastero.
Nelle biblioteche dell'Occidente lungo tutto il secolo XII fecero il loro
ingresso libri che provenivano da lontano per area geografica e per lingua,
libri tradotti dal greco e dall'arabo.
"Tutti questi tesori ammassati saranno rimessi in circolazione, versati
nel crogiuolo delle scuole urbane, assorbiti – come ultimo sedimento d'apporto
antico – dal Rinascimento del XII secolo. (J. Le Goff)
DOC.
19
Book of Old Testament Illustrations
New York - Pierpont Morgan Library – ms 638 – Fol 12 v.
Particolare:
- Di
quale attività si tratta?
- Quali
attrezzi sono usati? Di quale materiale sono fatti? Qual è la loro
funzione?
- Osserva
l'abbigliamento dei contadini (abiti, calzature, copricapi) e descrivine
l'aspetto e la funzione
- Come
è disposta la messe raccolta? Perché in quella forma?
- Nel
Medioevo il colore azzurro, ricavato dal lapislazzuli, era molto costoso e
veniva usato con grande parsimonia. L'uso che ne viene fatto in questa
miniatura che cosa ti suggerisce? (committenti, destinazione del libro
miniato, scriptorium che lo produce, zona di provenienza...)
SAN BENEDETTO
L'unica
fonte di notizie sulla vita del Santo è data dal II Libro dei Dialoghi di
papa Gregorio Magno, databile presumibilmente intorno al 593-594.
Secondo tale fonte Benedetto nacque a Norcia, in Umbria, nel 480 (data
ipotetica) e seguì a Roma gli studi umanistici. Disgustato della vita dossoluta
dei compagni lasciò la scuola e e si rifugiò prima in un villaggio presso Roma,
quindi vicino a Subiaco, nei colli Sabini, dove visse per tre anni in una
grotta, istruito nella pratica della vita ascetica dal monaco Romano.
Intorno a lui si formò una piccola comunità di discepoli che egli organizzò in
gruppi di 12, sotto la guida di un abate da lui nominato. Quindi il Santo si
trasferì sul monte Cassino, tra Roma e Napoli, dove costruì un monastero. Al
suo ordine aggiunse un ramo femminile che accolse la sorella Scolastica e un
gruppo di compagne. Benedetto diresse il monastero fino alla morte, avvenuta
probabilmente tra il 546 e il 550.
La sua via è ricca di episodi prodigiosi narrati da Gregorio Magno. Uno
racconta l'incontro del Santo con Totila, re degli Ostrogoti. Nel 542 il
sovrano si trovò a passare per Cassino e volle conoscere l'abate di cui tanto
si parlava. Per metterlo alla prova in sua vece inviò un ufficiale in abiti
regali e con un fastoso seguito. Il Santo smascherò l'inganno e il re Totila,
colpito, si recò allora in persona a visitarlo e a rendergli omaggio. Benedetto
gli rimproverò le crudeltà commesse nella guerra che stava combattendo contro i
bizantini e gli profetizzò il futuro, le sue imprese belliche e la sua morte.
Ammansito dall'ammonizione ricevuta, Totila dimostrò ai nemici vinti una
maggiore umanità, vietando saccheggi e distruzioni.
L'episodio mette in luce l'opera di mediazione che in quel difficile periodo la
Chiesa svolse nei confronti della società civile e in particolare il suo
tentativo di conciliare le popolazioni latine e barbare.
Due secoli dopo la morte di Benedetto i monasteri benedettini in Europa erano
più di mille. La loro storia conobbe fulgori e decadenze; ogni volta però che
si sentì la necessità di un riformatore questi non fece altro che richiamarsi a
Benedetto e la riforma fu sempre un ritorno ai precetti del fondatore.
E' il caso di Cluny. L'abbazia sorse in Borgogna nel X secolo, con
l'intento di restaurare la Regola benedettina riportandola alla primitiva
purezza.
La piccola comunità iniziale professava una vita autenticamente evangelica,
distaccata da questioni e attività temporali; i monaci erano dispensati dal
lavoro manuale per potersi dedicare completamente alla preghiera e alla
meditazione. Per evitare che il monastero cadesse nelle mani di laici potenti o
di vescovi avidi di ricchezza, l'atto di fondazione sancì l'assoluta
indipendenza del monastero rispetto alla nomina dell'abate e a tutte le
questioni riguardanti la comunità, che rispondeva unicamente al pontefice
romano. Per evitare il pericolo dell'isolamento, che avrebbe potuto favorire le
pressioni dei potenti, Cluny viveva un'unione intima con altri due monasteri,
attraverso l'unicità dell'abate e l'identità delle regole di vita.
Sostenuto dalla forte personalità dei suoi abati, Cluny diventò un centro di
spiritualità e una vera scuola di preghiera, un esempio di vita comune
contemplativa e ordinata che conciliava la povertà evangelica con l'amore per
il bello, la fuga dal mondo con l'umanesimo e la cultura.
La garanzia contro l'ingerenza dei laici, il sostegno assicurato dai pontefici
contro i sovrani invadenti, la sicurezza politica ed economica offerta, la
felice posizione geografica nel centro dell'Europa, all'incontro di grandi
arterie commerciali, determinarono la rapida espansione di Cluny. La preghiera
e lo studio alimentarono la nascita e la crescita di una delle biblioteche più
ricche dell'Occidente. La lode a Dio si espresse anche attraverso la bellezza
delle cerimonie liturgiche, lo splendore dei paramenti, la maestosità della
chiesa e la preziosità dei suoi arredi.
Fu questo ad attirare le appassionate invettive di Bernardo di
Clairvaux, esponente di spicco di un altro modello di vita comunitaria nato
dall'esigenza di ritornare, dopo gli splendori di Cluny, a una forma di vita
ascetica più semplice, nell'osservanza totale della Regola.
Da Cîteaux (vicino a Digione), dove ebbe origine, il
modello cistercense si diffuse rapidamente, predicando la
povertà che si espresse in un nuovo modello di vita comunitaria, nella scelta
di luoghi deserti, non coltivati, lontani dai centri abitati su cui far sorgere
i monasteri, nella decorazione semplice ed essenziale delle chiese.
http://www.uciimtorino.it/istituzioni_monastiche.htm
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